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Pro Vercelli | 07 febbraio 2023, 18:56

I gol, l'attaccamento alla maglia, la passione: insomma Gianmario Comi

«Questo è un anno particolare, perché avevamo altri obiettivi. Da qui alla fine la Pro Vercelli dovrà giocare ogni partita come se fosse una finale». «Sono legato a questa maglia, a questa terra. E i tifosi lo sanno».

Gianmario Comi (foto Marco Lussoso)

Gianmario Comi (foto Marco Lussoso)

Gianmario Comi: i gol, la passione, l'attaccamento alla maglia della Pro Vercelli. Gianmario Comi, ormai, è parte della storia delle Bianche casacche.
Gol, passione a attaccamento son qualità che il pubblico apprezza.
Comi, che effetto fa essere il beniamino della curva e del tifo vercellese che, da qualche anno, ti considera la bandiera della squadra?
Non può che farmi piacere. L'affetto dei tifosi me lo sono guadagnato segnando, superando anche i momenti-no, quando, in anni passati, sono stato messo in discussione. Mi sento legato alla maglia e questa terra, e cerco di trasmettere questo mio attaccamento anche ai più giovani.

E a Novara, dopo il derby, si è vista una scena da film d'autore, molto bella: prima le lacrime di Matteo Della Morte, che (in partenza per Vicenza) salutava i tifosi, e poi tu che li invitati ad acclamare Alberto Masi, passato alla Triestina. Suppongo che Masi sia stato per te qualcosa di più di un compagno di gioco.
Con Della Morte e con Masi ho vissuto quattro anni intensi, bellissimi. Ci vedevamo anche fuori dal campo, la sera con le famiglie. Io e Masi siamo legati da una forte amicizia, è stato un grande capitano ed era giusto ricordarsi di lui, perché lui ci teneva tantissimo a vincere il derby.

Siano al terzo anno della gestione Casella, la squadra, sulla carta, sembrava più forte rispetto ai due anni precedenti, eppure c'è qualcosa che non va per il verso giusto, e se non si arrivasse almeno al decimo posto sarebbe un mezzo disastro.
Penso che questo sia un anno particolare, molto particolare. Parti e hai altri obiettivi. Poi vedi che fai fatica a raggiungerli. Adesso noi dobbiamo concentrarci ogni partita per ottenere quei punti che ti permettono di essere tranquillo...

Tranquillo vuol dire lontano dalla zona play-out?
Nel calcio bisogna essere realisti: siamo a meno tre dai play off e meno quattro dalla zona play-out. E dal momento che quelli che sono dietro corrono tutti, occorre fare molta attenzione. Dobbiamo giocare ogni partita come fosse una finale, a partire da sabato, con il Piacenza. Sarà una partita crocevia... Una volta raggiunta una certa tranquillità potremo poi pensare ad avere altri obiettivi, più ambiziosi.

La tua carriera, le giovanili del Torino, poi il Milan. Che ruolo ha avuto tuo papà Antonio, giocatore della Roma e poi del Toro (più di 250 partite nella massima serie)?
Quando ho iniziato, mio padre era responsabile del settore giovanile del Torino, ma mi ha sempre lasciato fare, ed entrambi abbiamo sempre pensato che non fosse giusto che ci accostassero. A volte, però, succedeva, e se se le cose non andavano bene era penalizzante, e quindi io dovevo impegnarmi il doppio. La sua carriera e la mia carriera, in ogni caso, sono motivo di orgoglio per entrambi.

All'inizio della tua carriera sembravi anche tu lanciato verso la serie A: a 19 anni, dopo l'anno con le giovanili del Milan, disputi un'annata fantastica con la Reggina in serie B: 35 partite e 11 reti. Non male per un diciannovenne, uno si sarebbe aspettato che fosse il trampolino di lancio per la serie A e invece... invece l'anno dopo finisci a Novara, che fa la B...
Purtroppo (dice ridendo) le scelte sbagliate si pagano. Certo, a 19 anni dopo aver realizzato 11 gol in B dovresti avere altre opportunità, ma non voglio recriminare, fui bloccato anche dalla pubalgia. La A, comunque, mi capitò di sfiorarla con una mancata promozione con l'Avellino...

Pensi ancora alla serie A?
Ti assicuro che ho un solo pensiero ora: la partita con il Piacenza.

Cinque campionati con la maglia della Pro Vercelli. Uno in B con Moreno Longo, poi, dopo la parentesi di Vicenza, altri cinque in C con la maglia della Pro. Gli ultimi tre con 30 gol realizzati e il terzo deve ancora finire... Mi sembra un gran bel bilancio.
Non posso che essere soddisfatto, certo. L'importante è non fermarsi. Il primo anno con Longo segnai gol determinanti, al Vicenza, all'Avellino, al Pisa. L'anno successivo, mi dissero che non rientravo nei piani e così andai a Vicenza. Poi, il primo anno di C con la Pro Vercelli non fu certo dei migliori. Patii un infortunio, e i miei rapporti con il tecnico (Vito Grieco; ndr) non erano certo dei migliori.

Ma l'anno dopo arrivò Gilardino che ti volle fortemente...
Esatto, e fu un gran bel campionato. Io e Masi e tanti giovani. Segnai 6 gol e presi una quantità impressionante di legni, 9 mi pare tra pali e traverse. Peccato che poi arrivò la lunga pausa a causa del Covid. Anche quello fu un periodo particolare, strano.

L'anno di Modesto fu un'annata positiva, per te e per la squadra. Emersero due talenti, come Hristov e Zerbin. Sulla carta anche quest'anno dovrebbe emergere alcuni talenti, penso a Corradini, penso a Vergara, e invece i giovani stentano un po' a decollare. C'è un perché?
Non è facile rispondere. Io penso che per un giovane è tutto più facile se le cose vanno per il verso giusto, come accadde appunto l'anno di Modesto. Ma i giovani che abbiamo sono validi, e alcuni, penso a Rizzo, penso a Louati, si sono già fatti valere. E tutti comunque hanno grandi potenzialità e possono fare grandi cose.

 

Una domanda che ti debbo fare: che effetto fa andare in panchina? Certo, nove volte su dieci poi, entrerai, ma un giocatore aspira sempre a due cose: vincere e giocare, no?
Sono un professionista e quindi accetto le decisioni del tecnico, decisioni che prende valutando diversi aspetti, ma che non mi competono. Certo, nessun giocatore è felice quando va in panchina. Ma, come dicevo, le scelte tecniche vanno rispettate così come vanno rispettati i compagni che scendono in campo, altrimenti viene meno il gruppo. Personalmente, reagisco dando il massimo sempre, ogni minuto di gioco per me è importante. E poi...

E poi?
Non sono più giovane ma non sono ancora un giocatore anziano, ma ho la consapevolezza di essere fortunato, soprattutto se penso a chi fortunato non è. Sono fortunato perché faccio il lavoro più bello del mondo.

I gol.
L'attaccamento alla maglia.
Insomma Comi, la passione.

Remo Bassini

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