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Arte e Cultura | 23 novembre 2022, 14:34

Steinbeck e Popolizio: due grandi sul palco del Civico

Inaugurata nel migliore dei modi la stagione organizzata da Comune e Piemonte dal Vivo - Uno spettacolo che "resta" anche dopo, uscendo da teatro.

Steinbeck e Popolizio: due grandi sul palco del Civico

Sarebbe piaciuto a Gian Renzo Morteo – docente universitario, traduttore, uomo che ha dato molto al teatro torinese - “Furore” con Massimo Popolizio, spettacolo che al Teatro Civico ha inaugurato la stagione di prosa organizzata dal Comune di Vercelli con Piemonte dal Vivo. Diceva Morteo che uno spettacolo teatrale è bello quando resta nella testa della spettatore. E “Furore” resta.

Uno spettacolo dalle tematiche attuali, forse immortali, che è anche un omaggio al grande scrittore John Steinbeck. Grande non tanto per il Nobel. Grande perché, a differenza di tanti, è uscito dal guscio piccolo-borghese (un mondo che comunque ha ben descritto, soprattutto con quel capolavoro che è "L'inverno del nostro scontento") per descrivere la disperazione di quei contadini che durante la Grande depressione si spostarono, con le loro auto scassate, i loro attrezzi e la loro povertà, dal Midwest verso la California, lungo la Route 66.
Non avrebbero voluto.
«Come faremo a vivere senza le nostre vite...» dicevano, e dice Massimo Popolizio.

Sul palco c'è lui, e con lui c'è la sua voce che incanta con le variazioni di tono, le pause, le accelerazioni: solo un grande riesce a tenere incollati per ottanta minuti gli spettatori (concedendo qualcosa anche alla mimica facciale); dietro a Popolizio scorrono le immagini d'epoca della disperazione mentre, sulla sinistra, l'accompagnamento musicale di Giovanni Lo Cascio, con una batteria che ha lo stesso ritmo del testo recitato, e, a un certo punto, anche un'armonica a bocca che ti trasporta in un campo di profughi-contadini, di notte, in cerchio attorno a un fuoco.

Uno spettacolo che va oltre il teatro. Che è anche un'accusa al capitalismo che utilizza il progresso (arrivano i trattori, i contadini non servono più... «trattori che sono come carriarmati») e il suo “mostro” per eccellenza, insomma le banche: «e se il mostro smette di crescere muore». Indice puntato sul profitto che calpesta, ma non solo: sul banco degli imputati di "Furore" ci sono anche i "buoni americani", ottusi ed egoisti.

«Maledetti, dovete sloggiare» dice il buon americano.
«Preghiamo il signore che un giorno i bambini abbiano tutti da mangiare». replica quello meno buono.

“Furore”, una rilettura teatrale da applaudire, com'è successo, per poi portarla a casa, affinché c'insegni.
Infine, su Popolizio. In “Furore” ci mette due cose: la voce a l'anima, anche.
Per questo “resta”, uscendo da teatro.

Remo Bassini

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