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Attualità | 16 dicembre 2020, 09:20

«Vorrei sfiorare il capo, asciugare le lacrime di mia madre»

Bisogno di amore e vicinanza di persone anziane e fragili nelle case di riposo

«Vorrei sfiorare il capo, asciugare le lacrime di mia madre»

Mia madre non ha letto Cicerone, ha fatto la mondariso, ha curato la famiglia, ha cresciuto meravigliosamente i suoi nipoti, raggiungendo la venerabile età di 93 anni, invalida nel corpo ma con una mente ancora lucidissima e svelta. La sua serenità, la sua resilienza (termine che non mi piace, ma efficace) deriva di certo, come sostiene Cicerone, dalla consapevolezza di aver tentato di operare per il bene, nella propria vita. Il che non ci esime da errori, ovvio, ma ci pone al riparo da azioni orientate intenzionalmente al male.

Aveva sempre detto che, qualora non fosse più stata in grado di accudirsi, avrebbe desiderato “ritirarsi” nella Casa di Riposo di Borgo Vercelli, a pochi passi da casa sua. La conosceva bene. Finché le è stato possibile, era lì che si recava con la sorella minore ad ascoltare la Santa Messa, essendo donna di Fede. Una sorta di training per familiarizzare con l’ambiente che l’avrebbe prima o poi accolta. E così è stato, nel 2016. Disse a me e mio fratello Aldo che, non riuscendo più a provvedere a se stessa, la Casa di Riposo sarebbe stata “la sua nuova comunità”.

Ogni giorno ci si recava a trovarla, nella sua cameretta singola, dove ci era stato possibile portarle i quadri colorati che amava, le foto dei suoi cari, e, sulla testata del letto, la riproduzione della Madonna che aveva ricevuto in dono di nozze nel 1946.

Quattro anni così, tra gioie e dolori. Poi, a marzo, la cesura profonda e lacerante del Covid, che ha colpita lei come tanti altri ospiti e parte cospicua del personale. Da allora non mi è stato più possibile incontrarla, se non con qualche videochiamata che consentiva di capire il suo stato d’animo e l’evoluzione della malattia. Dopo la guarigione, l’estate ci ha portato un po’ di sollievo dato che le visite, una a settimana, si tenevano all’aperto rispettando le opportune regole.

Ora posso vederla, stando io in strada sotto la tettoia d’ingresso della struttura, lei all’interno, grazie al telefono e all’uso degli auricolari. Le Oss sono persone meravigliose, così come l’addetta alle pulizie, il fisioterapista, l’infermiera. Ciò non toglie che a me, come figlia, e a lei, come madre, manchi la possibilità di toccarsi le mani. Vorrei sfiorarle il capo, asciugarle le lacrime. Anche attraverso la plastica di una stanza degli abbracci. Sarebbe questo buonismo? Io lo chiamo Amore.

Non è necessario scomodare illustri esperti della psiche, per comprendere il bisogno di amore e vicinanza di persone anziane e fragili. Esistono i dispositivi di sicurezza, vero? Esistono i disinfettanti e i metodi di sanificazione, vero? Esistono i tamponi rapidi, vero? Purtroppo spesso mancano, nelle RSA: personale, soldi, volontà, buona amministrazione delle risorse. Il Covid ha fatto da cartina al tornasole di un sistema a tratti lacunoso e opaco.

Insomma: io non conosco l’avvocato Carlo Olmo, ne leggo sui giornali. L’iniziativa da lui promossa della stanza degli abbracci mi ha commossa profondamente e, contemporaneamente, indotta a ben pensare di chiunque si adoperi per rendere possibile, in sicurezza, nelle strutture covid free, a intraprendere iniziative volte al benessere psicologico di chi sta percorrendo l’ultimo tratto della propria vita.

Lina Besate

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