Ritorna a Vercelli dopo quattro anni di assenza una vera e propria leggenda del pianismo mondiale, Boris Petrushansky. A lui è affidato il concerto di apertura della 72esima edizione del Concorso Viotti, dedicato alla memoria del professor Alessandro Malinverni.
Si esibirà al Teatro Civico venerdì 7 ottobre alle 21 con un programma di rara e intensa bellezza: da Robert Schumann a Modest Mussorgsky. Petrushansky, classe 1949, russo nazionalizzato italiano, appena quindicenne diventa allievo di uno dei più grandi musicisti del Novecento, il “Maestro dei Maestri” Heinrich Neuhaus, nella stessa scuola che ha donato al mondo giganti del pianoforte come Gilel’s e Richter. Alla sua intensa attività concertistica a livello mondiale affianca quella didattica: dal 1991 Boris Petrushansky, vive in Italia, a Bologna, dove insegna presso l`Accademia Pianistica di Imola.
Maestro, prima di tutto: perché questo abbinamento così inusuale? È collegato - se posso permettermi la domanda- a qualche sua scelta personale, intima, oppure c’è un legame dal punto di vista musicale o stilistico che lei ha intravisto?
Da tempo mi mancava il mio rivolgimento a Schumann, anche se in passato ho registrato ed eseguito nei programma concertistici molte sue grandi opere. Io sono cresciuto con Schumann, come peraltro la maggior parte dei bimbi che iniziano il loro percorso pianistico nel mondo romantico. Il suo è un romanticismo puro, affascinante, intimo. Anche se mi ha accompagnato praticamente per tutta la vita, ultimamente percepivo l’assenza di questa componente della mia esistenza. Probabilmente, mi piace pensarlo, è stato un richiamo quello delle Davidsbündlertänze, un componimento che per me è sempre stato complesso, enigmatico e attraente. E mi sono detto: “ma si, dai, proviamo, vediamo cosa ne viene fuori!”. Immediatamente mi sono sentito travolgere al punto di non poterne fare a meno.
E l’accostamento ai “Quadri” di Mussorgsky da dove è scaturito?
In realtà l’accostamento non è stata una intuizione immediata. È molto più semplice fare un programma monografico, tutto Schumann, così non ci sono grandi problemi. Tuttavia mi sembrava molto più intrigante cercare un accostamento non solo stilistico ma più intrinseco, intimo, interiore. A prescindere dall’adorazione risaputa di tutti i grandi compositori russi di fine Ottocento per Schumann (da Tchaikovsky a Mussorgsky stesso), l’op. 6 rispecchia una certa società ove vi era fratellanza fra i due personaggi ( è infatti ispirata alla Lega dei Fratelli di Davide contro i Filistei dell’Arte, una ispirazione fantastica del musicista che era anche fine letterato) per cui sono stato guidato nella mia scelta proprio da questo valore: la fratellanza. Ed ecco che è scattata subito la scintilla dei Quadri. Anche se apparentemente molto lontani, ho intravisto certi nessi che legano le due opere.
Ricordiamo infatti che ne “I Quadri di una Esposizione” Mussorgsky “mise in musica” dieci soggetti dell’amico Viktor Hartmann, pittore e intellettuale a lui legato dagli stessi ideali artistici. I dieci brani sono collegati tra loro dalla celebre “Promenade”, una “passeggiata" vera e propria che l’ascoltatore compie tra un quadro e l’altro come se si trovasse in un museo o a uno mostra.
Parliamo dell’op.6 di Schumann dove convivono le due personalità del grande compositore tedesco. Lei come ha pensato di far coesistere queste due anime nell’interpretazione che proporrà al Civico?
Due personalità a volte veramente contrapposte, certo. Quella esuberante e impetuosa identificata con il personaggio immaginario di Florestano e quella timida, fragile, riflessiva di Eusebio. Ma sono due facce della stessa medaglia, se così si può dire. Nei momenti di esuberanza totale o di umorismo che apparentemente non tollera nessuna infiltrazione esterna, io cerco di ammorbidire le asprezze umoristiche con metodi puramente pianistici: più cantabile, più legato. Cerco di colorare, di tingere con i “pennelli” che la tecnica pianistica mi consente di utilizzare sia l’una sia l’altra inclinazione, per legarle e renderle un tutt’uno, dare un senso di interezza della personalità di Schumann.
Per quanto concerne invece “I Quadri di una Esposizione” punterà su una visione d’insieme oppure darà una personalità spiccata a ognuno dei dieci brani che compongono l’opera?
Indubbiamente più spiccata per ognuno anche se una visione più accurata dell’insieme consente di cogliere il legame esistente fra loro, anche qui una sorta di “fratellanza”, veri e propri ponti interiori fra alcuni brani, immagini non evidenti ma che si trasformano attraverso l’uso dei metodi puramente musicali e che si richiamano.
Progetti futuri?
Sto lavorando a un programma completamente dedicato alla Natura.
E pronuncia “natura” con un tono di voce che si fa quasi sussurro, che esprime meraviglia, rispetto.
“Natura è tutto quello che sappiamo senza avere la capacità di dirlo” scrisse Emily Dickinson.
Ma c’è da scommetterci che Boris Petrushansky riuscirà a descriverla perfettamente attraverso i tasti del pianoforte.
E veniamo, infine, al concerto.
La prima parte del concerto sarà tutta dedicata all’esecuzione delle Davidsbündlertänze op. 6, una raccolta di diciotto piccoli pezzi per pianoforte scritti da Schumann nel 1837, per lui un vero e proprio annus horribilis. Un capolavoro di ascolto non consueto in cui il compositore tedesco comincia a mettere a nudo le due anime contrapposte del proprio Io incarnando così al meglio la poetica del Romanticismo tedesco. Nella seconda parte del recital Petrushansky eseguirà “I Quadri di una Esposizione” di Modest Mussorgsky, opera tecnicamente trascendentale, che viene unanimemente considerata dai critici una summa del pianismo tout court e che da sempre è presente nel repertorio dei grandi pianisti. Mussorgsky - a onor del vero- nella sua vita non compose molto; il suo catalogo non è ampio, ma tutto ciò che scrisse si eleva alla stregua del capolavoro. E non a caso la sua opera più nota, “Boris Godunov”, inaugurerà il 7 dicembre prossimo la nuova stagione del Teatro alla Scala.