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Arte e Cultura | 25 novembre 2021, 15:50

"Il caso Olivetti" a Santhià

Un libro complottista sula morte di Mario Tchou, sulla IBM, la Cia e Adriano Olivetti

"Il caso Olivetti" a Santhià

Pochi oggi si ricordano del nome Mario Tchou l’ingegnere cino-italiano che, la mattina di giovedì 9 novembre 1961, assieme al proprio autista Francesco Frinzi, su un auto americana di grossa cilindrata, muore investito da un camioncino a Santhià o meglio sul cavalcavia dell'autostrada Milano-Torino, poco prima del casello.

Tchou ha solo 37 anni, lavora da tempo all’Olivetti, dove sta assumendo un ruolo decisivo nell’espansione dell’azienda sia in direzione dell’elettronica (i primi computer) sia verso nuovi mercati (Urss e Cina). All’epoca si liquida l’incidente come uno dei tanti frequenti nel traffico italiano, ma i sospetti di un imprevisto ‘organizzato’ vengono espressi nel 2013 da Carlo De Benedetti, fautore del rilancio dell’industria eporediese negli anni ’80-’90, quando insinua l’ipotesi appunto dell’omicidio voluto dai vertici IBM per contrastare l’ascesa della ricerca piemontese sui nuovi calcolatori.

A quel punto anche la scomparsa, per un presunto infarto di Adriano Olivetti, 59enne, circa un anno prima, il 27 febbraio 1960 in treno, nei pressi di Aigle (Svizzera) sul rapido Arona-Ginevra, desta oggi le stesse incognite: e a chiarire il tutto, c’è, da qualche mese un bel libro “Il caso Olivetti” scritto dall’inglese Meryle Secret e pubblicato in Italia da Rizzoli: il testo che ha quale sottotitolo La IBM, la CIA, la Guerra Fredda e la misteriosa fine del primo personal computer della storia illustra assai bene una plausibile tesi complottista, oltre fornire bei ritratti della famiglia Olivetti – Camillo, Adriano, Roberto in ordine di discendenza – rilevandone anche le idee utopiste e lungimiranti di un socialismo dal volto umano dove capitale e umanità, lavoro e benessere, fabbriche-padroni-operai fossero a tutto vantaggio di un progresso democratico, senza estremismi ideologici o compromessi ipocriti.

Purtroppo il sogno è finito assai presto e ora Olivetti e Ivrea sono solo una città-museo, per fortunata, salvata dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità, da visitare avendo questo bel libro sottomano.

Guido Michelone

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