Tra i casi più importanti che si ritrovò tra le mani il giudice Giuseppe Rosco – e che ha raccontato nel suo libro “Un gradino più su – nella Vercelli degli Anni 50 c’è, sicuramente, la vicenda dei falsi diari di Benito Mussolini.
Il giudice Rosco si trova in ferie, a Lerici. Si gode un po’ di mare. L’altoparlante dello stabilimento balneare fa il suo nome: qualcuno deve parlargli.
Si tratta di agenti dei servizi segreti. Hanno saputo, gli dicono, che una certa Amalia Panvini Rosati, residente a Vercelli, custodisce i diari del Duce, dal 1922 al 1942. E che l’interesse per quegli scritti è grande, anche da parte di case editrici straniere.
Il giudice ordina quindi ai Carabinieri di recarsi nell’abitazione della Panvini, che vive con l’anziana madre, e di acquisire i famosi diari. La donna si barrica in casa, non vuole. Alla fine cede, perché è senza cibo e senza medicine per la madre.
Rosco trova tutti i diari meno uno, quello del 1942.
In “assoluta segretezza” racconta Rosco, inviai i diari all’archivio di stato di Roma. Il responso non si fece attendere: chiunque avrebbe potuto scrivere quei diari, perché contenevano notizie note e diffuse dalla stampa. La calligrafia, però, sembrava proprio quella del Duce.
Ma che fine ha fatto il diario del 1942?
Da fonti confidenziali, il giudice viene a sapere che la signora Amalia Panvini Rosati sta cercando di venderlo a una casa editrice.
Decide quindi di arrestarla, e di interrogarla. Lei nega, lo accusa, si difende, racconta storie fantasiose. Ma alla fine cede. Non solo: fa vedere al giudice che è lei stessa che ha imparato a scrivere con una grafia simile a quella di Benito Mussolini.
A questo punto il giudice prende una decisione: scarcerare la donna. In fondo è rea confessa, giusto che torni a vivere con la madre malata.
Non finisce così. Il procuratore capo del tribunale, appena viene a conoscere la storia contatta i giornali, così la donna viene data in pasto alla stampa.
Non solo, ha un altro brutto finale questa storia.
Una sera si presenta dal giudice Rosco un commissario di polizia. Gli dice che ha fatto una scoperta sensazionale. E’ vero, i diari del duce erano falsi, ma non quello del 1942. Lo ha trovato lui, e lo mostra al giudice. Potrebbe interessare qualche grosso editore o giornale, in fondo.
Bastano pochi minuti a Rosco per liquidare il poliziotto.
Gli dice: Legga qua, c’è scritto un’amico. Sappia che il Duce era anche un maestro elementare, non avrebbe mai scritto un amico con l’apostrofo.
Chi fosse interessato al libro di Giuseppe Rosco “Un gradino più su” scriva a infovc24@gmail.com. Vi metteremo in contatto con la nipote del giudice, Giulia Rosco, a cui il libro è dedicato.
(Sarebbe bello, no?, presentare questo libro a Vercelli)
Sotto trovate i link dei due primi articoli.














