Riceviamo e pubblichiamo.
Nato a Torino nel 1925 e morto a Camino nel 2013, Enrico Colombotto Rosso esprime autenticamente e senza condizioni la propria sensibilità e la propria immaginazione. La ricerca dell'artista si sviluppa attraverso immagini forti, spesso crude per i colori, gli accostamenti e le espressioni delle figure che raccontano il dramma interiore inconfessato dell'umanità; un’arte provocatoria, che vuole opporsi alla moralità della società e trasgredire, ma che al tempo stesso vuole indagare in profondità le emozioni umane, oltre che dell’artista stesso, animo tormentato e incompreso.
“Maestro ineguagliabile di un surrealismo onirico, visionario e drammatico in grado di condurre l’osservatore verso l’ignoto; pittore dell’anima, anticonformista e ribelle, che fa pensare alle “pitture nere” della Quinta del Sordo di Goya, icone delle inquietudini e delle tensioni del mondo contemporaneo”, osserva acutamente nelle sue note critiche il Prof. Massimo Paracchini, che ha curato l’allestimento della mostra. In effetti il filo conduttore della mostra si ispira al trionfo del male e alla tragica condizione umana, che Colombotto Rosso indaga con un vertiginoso affondo emotivo che lo porta ad analizzare le tematiche “noir” che caratterizzano le opere di Odilon Redon in una visione della realtà, che va oltre il sembiante, per cogliere personaggi d’incubo o sogno.
Colombotto Rosso dimostra nelle sue opere un grande interesse per la raffigurazione del corpo umano, ma non alla ricerca del bello e della perfezione, anzi: a stimolare la sua creatività sono mani secche, nodose, scheletriche, nudi contorti, volti emaciati e sofferti. La rappresentazione di un’umanità disperata e macabra di sopravvissuti. «Tutto nella vita è morte» scriveva il grande pittore Egon Schiele, esponente di primissimo piano dell’espressionismo viennese, e nelle opere di Colombotto Rosso è palpabile l’atmosfera di morte e decadenza nello lo sguardo malinconico, perso nel vuoto, rassegnato delle figure, immobili in attesa di qualcosa di terribile che sta per accadere, e che spinge l’osservatore a riflettere sulla propria identità e interiorità.
Oltre a una ventina opere di grande impatto emozionale in mostra anche un interessante “libro d’artista”: Si intitola Gattomanzia e raccoglie diciotto chine di Enrico Colombotto Rosso che interpreta la felinità del gatto col suo inconfondibile tratto; alle tavole si alternano poesie di Giovanni Tamburelli.
Una mostra da non perdere per apprezzare l’opera di un grande Maestro.
A Vercelli, presso la Galleria “Nelson Cornici” di via W.Manzone, dal 6 al 27 maggio tutti i giorni tranne la domenica e il lunedì mattina.














