Roberta Invernizzi è una scrittrice vercellese prestata all’amministrazione pubblica. Sì, è così: non una normale impiegata che ha l’hobby della scrittura, ma una scrittrice che a tempo “perso” lavora come impiegata. È una filosofa amante dei gatti, una ragazza profonda e intelligente, con una sensibilità che rende la sua arte di scrivere davvero deliziosa. Autrice di tre libri di taglio stile e contenuto differenti (Capelli, Come una mosca nel latte, 7 Stanze d’alberi e d’acqua), le abbiamo rivolto alcune domande e siamo rimasti stupiti quando abbiamo visto, sulla sua pagina facebook, un’immagine che tramite le citazioni di intellettuali diversi, invita la gente a leggere e a produrre idee.
Cosa spinge una persona come te a scrivere? «Tutti i giorni mi racconto mille storie che hanno per protagonisti le persone che incrocio per strada, i colleghi, gli amici, i personaggi della TV o della cronaca, uomini e donne non ancora esistenti... Fantastico continuamente su mondi, vite, vicende possibili. Scrivere per me vuol dire acchiappare queste fantasie e dare loro una forma… per poi raccontarle a chi avrà voglia di leggerle!».
Ti sei cimentata con generi letterari diversi: perché? Qual è il tuo preferito o quello che ti senti addirsi maggiormente a te? «Scrivo come riesco, utilizzando i pensieri, le idee, le trame e soprattutto i personaggi che ho a disposizione sul momento, con lo spirito del momento. Non mi pongo interrogativi e quindi neanche limiti in merito ai generi».
Il tema della fragilità e dell’insicurezza è uno dei tuoi argomenti prediletti: motivo? Come lo affronti personalmente e come lo traduci in testo? «La fragilità fa parte di me, in quantità variabile nelle varie fasi che vivo. Lo so e lo accetto, senza rassegnazione, con consapevolezza. E con la fierezza di chi comunque procede e agisce, a volte senza la prudenza opportuna, assumendosi dei rischi per non rinunciare alla propria identità e storia. Ho superato molte crisi e so che ce la posso fare. Credo si tratti di un’esperienza universale e per questo motivo amo scriverne: le mie vorrebbero essere parole di realistico incoraggiamento a chi si sente sull’orlo di un baratro».
L’esperienza di scrivere a quattro mani? Prolifica o vincolante? «È stata un’esperienza molto stimolante e divertente, ha alleggerito molto la fase di costruzione della storia perché è stata anche una spartizione di pesi e responsabilità, oltre che una condivisione di idee, spunti, slanci. Poi, tutto il lavoro si è svolto rapidamente, con una fluidità inattesa. Mi piacerebbe ripeterla!».
Quanto conta la filosofia nella tua vita? «Permea il mio sguardo sul mondo e sui suoi abitanti (inclusa me!). Quando scopri e coltivi una visione filosofica delle cose, cioè interrogativa, critica, non te ne liberi più, perché regala una dimensione di vita aggiuntiva».
Quanto contano i sentimenti nella tua vita? «Sono la vita! Tutte le mie scelte, anche quelle professionali, sono sempre state guidate dai sentimenti… con relativi prezzi da pagare, naturalmente. Ma va bene così: non so se si tratti di un’attitudine o di un’abitudine, sta di fatto che il mio modo di stare al mondo è questo».
Cosa vorresti scrivere un giorno, quella cosa che non hai ancora scritto e che senti sgorgare dal profondo? «Non lo so… Sono pronta a stupirmi!».
Come ti appare il mondo dell’editoria oggi in Italia? Ci sono lettori? «I lettori sono un popolo spesso silenzioso,appassionato, trasversale, a volte un po’ fanatico e rissoso, a volte forse un po’ troppo manipolabile, credo più numeroso di quel che si creda. Le classifiche possono essere fuorvianti, accade che siano in realtà relative alle copie pubblicate e non a quelle vendute, e poi manca il dato che secondo me conta davvero: il gradimento. Un libro può vendere molto per l’attrattiva esercitata dal tema in quel determinato momento, per la notorietà dell’autore oppure per la potenza distributiva dell’editore, ma può deludere, irritare, annoiare… Non mi sembra un dettaglio per un “oggetto” che ha un valore non solo commerciale, ma culturale! E poi, oltre ai lettori che comprano i libri ci sono quelli che li scambiano, li prendono in prestito nelle biblioteche o dagli amici, li rileggono pescandoli dai loro stessi scaffali… E’ sempre leggere, no?».
Dove preferisci leggere e dove preferisci scrivere? Cosa prediligi leggere? «Non mi vengono in mente luoghi più congeniali di altri. È più una questione di desiderio: leggere e scrivere per me sono piaceri speciali e tali devono rimanere, a prescindere dallo scenario, dalla posizione, dall’orario! Leggo narrativa, saggistica, attualità, classici… Ultimamente, leggo per leggere: partecipo a un meraviglioso progetto di lettura ad alta voce presso i reparti dell’Ospedale di Biella e spesso scelgo le mie letture per proporle ai degenti».
C’è un autore ed un genere che veramente ti disgustano? «No, disgusto no. Evito il genere erotico e il rosa perché so che mi annoiano. Accantono gli scrittori che esibiscono la loro cultura oppure quelli furbetti, che scelgono storie e personaggi per vendere tante copie, perché di solito non suscitano il mio interesse. Di fronte alla poesia mi sento spesso inadeguata e così desisto. In generale, comunque, non condivido le critiche troppo aspre (e spesso spocchiose) in tema di letture: ognuno cerca un po’ di se stesso nei libri che legge e disprezzare un libro amato significa disprezza anche chi lo predilige… Anche in questo campo credo sia necessario il rispetto».
A cosa serve un libro, secondo te? «A vivere di più. A conoscere se stessi. A volte, a cambiare idea».
















