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Arte e Cultura | 24 novembre 2023, 09:48

Le fonti musicali in Piemonte

Il volume curato da Daniele Boschetto alla Biblioteca Civica

La copertina de Le fonti musicali

La copertina de Le fonti musicali

 

Oggi alle 18 presso la Biblioteca Civica di via Cagna viene presentato il volume Le fonti musicali in Piemonte. Volume V. Vercelli e Provincia, a cura di Daniele Boschetto ed esito dalla Libreria Musicale Italiana (Lucca). Il poderoso lavoro di oltre 500 pagine raccoglie quanto in possesso dai comuni del territorio vercellese-valsesiano da Alagna a Villarboit, in ordine alfabetico: tutto quanto concerne la musica classica, sacra, corale, bandistica, popolare viene racconta attraverso biblioteche, archivi, sagrestie, centri di documentazione e persino case private, in cui trovano spazio i beni culturali relative alla musica e alle proprie fonti scritte e materiali.

Essendo coinvolgo in prima persona nella stesura di un paio di capitoli, vorrei qui riproporre il mio intervento alla seconda presentazione, il 7 ottobre scorso presso la Scuola Vallotti, dopo ilo debutto a Varallo e un quarto appuntamento a Trino la prossima primavera.

“Proprio perché io svolgo sostanzialmente il lavoro dello storico, storico della musica o meglio di alcune musiche (il jazz, il pop, il rock) presso l’Università cattolica di Milano e il Conservatorio Vivaldi di Alessandria, è fondamentale per me rifarsi alle fonti cosiddette primarie, che, nella musica, per diversi secoli, vengono simboleggiate dalle note riportate sul pentagramma, ovvero dagli spartiti scritti a mano e poi stampati. Per le musiche popolari o extracolte, di cui mi occupo, non è così, nel senso che non è lo spartito, ma è la registrazione fonografica la vera fonte, ovvero il punto di riferimento di partenza, ma anche di arrivo per ogni studioso di jazz, di pop, ecc.

La registrazione sonora, inventata a fine Ottocento, e via via perfezionata attraverso numerosi supporti fonografici (il disco, il nastro magnetico, ora il digitale e la rete) è qualcosa verso cui occorre innanzitutto relazionarsi in maniera esclusiva ed esauriente, allorché si voglia studiare il jazz e il pop, non senza dimenticare l’esperienza dal vivo della performance e del concerto, con cui queste musiche operano per così dire in dialettica ( ma questo è un altro discorso da affrontare in differente sede). Ora, dove consultare le fonti del jazz e del pop, le registrazioni, per l’appunto? Qui sorge subito un grosso problema, anche molto diverso dalle raccolte archivistiche della musica colta e religiosa, perché in Italia non ci si è mai preoccupati di conservare, riunire e quindi proteggere e documentare queste fonti (le registrazioni jazz, pop, ecc.).

Lo ha fatto in parte, dal 1928, l’Istituto Centrale per i Beni Sonori già Discoteca di Stato, il cui catalogo supera di poco i 300.000 supporti, un’inezia se si pensa che il sottoscritto, da solo, ne ha quasi raccolto un decimo di quella cifra in un settore particolare di cui si parla nel libro). A questa la lacuna nazionale sopperiscono in parte alcune biblioteche musicali o quelle civiche, ma grazie al buon cuore o alla lungimiranza del direttore di turno: per fare un esempio vercellese, in città, non vi sono raccolte pubbliche sistematiche, ma dischi sparsi qua e là, dalla biblioteca Cagna a quelle di qualche scuola media e superiore, ovviamente alla Vallotti e presso la Società del Quartetto, che ha spesso in dono i dischi dei concertisti o dai concorrenti, rispettivamente per il Festival e Concorso Viotti.

Perché dunque questa incuria? Il problema è come sempre, macroscopicamente, relativo a fenomeni artistico-culturali nuovi che, soprattutto in provincia, dove giungono sovente di riflesso o in ritardo, vengono visti con sospetto, noncuranza, superficialità, pensandoli come destinati all’oblio o all’effimero; e questo comporta, nel mio caso, da parte degli stessi musicisti jazz e pop un atteggiamento talvolta refrattario o pessimista nel conservare testimonianze del proprio operato, se non si arriva a un serio o acclamato professionismo. Faccio al proposito un esempio probante: a Vercelli c’è un giornalista e storico locale, Bruno Casalino, che in tre libri sulla pop music (più uno sul jazz scritto con Stefano Di Tano) racconta la storia dei complessini rock vercellesi: gli ho chiesto se fosse possibile ascoltarne le musiche, ma mi ha risposto che gli stessi protagonisti perlopiù non possedevano documentazione fotografica, tranne qualche raro 45 giri spesso autoprodotto oppure nastri magnetici perduti in qualche soffitta o cantina.

Bisogna ricordare comunque che, fino all’avvento del digitale, è costoso, laborioso, macchinoso, tanto quanto oggi risulta facilissimo riprodurre musica o copiarla con un qualsiasi smartphone. Ora l’augurio che rivolgo alla nostra Città e alla nostra Provincia che possa essere avviato al più presto un centro di raccolta o di documentazione per i beni sonori, guardando le positive esperienze per esempio dell’etnomusicologia che, proprio nelle nostre zone e in quelle circostanti (Valsesia, Biellese, Verbano-Cusio-Ossola) grazie alla dedizione di studiosi come Alberto Lovato, Vittoprio Castelli, Cesare Bermani, Emilio Jona e molti altri, si sta prelevando l’autentica cultura folklorica. Sarebbe quindi utile un luogo o un’istituzione dove anzi tutti i musicisti vercellesi jazz, pop rock, folk che abbiano prodotto dischi ufficiali vengono a depositarne una copia, mentre per il passato, grosso modo dal 1990 in giù, occorrerebbe una ricerca a tappeto – Università, Conservatori o Regioni potrebbero farsene carico istituendo però corsi di formazione specifici – per scovare materiali fonografici (spesso inediti) che verrebbero ad arricchiore le nostre conoscenze e il patrimonio culturale vercellese”.

Guido Michelone

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