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Spettacoli | 03 luglio 2022, 06:05

Giorgio Panariello: «Con "La favola mia" strappo i sorrisi che l'attualità ci nega»

Intervista al comico toscano che giovedì 7 luglio sarà a Vercelli con il suo nuovo spettacolo

Giorgio Panariello: «Con "La favola mia" strappo i sorrisi che l'attualità ci nega»

Una favola che ripercorre vent'anni di carriera e porta in scena quasi tutti i personaggi che lo hanno reso famoso e che fanno ridere il pubblico. Arriva a Vercelli, il 7 luglio, lo spettacolo di Giorgio Panariello “La favola mia” apprezzato con successo nei teatri durante la stagione invernale. Il comico toscano racconta e si racconta, ripercorrendo in una veste inedita e attuale gli anni trascorsi come protagonista in teatro, cinema e televisione, ma anche gli anni della gioventù, trascorsi alla ricerca di un proprio posto nel mondo (dello spettacolo e non solo).

Lo spettacolo si intitola “La favola mia”: quando e come inizia la favola di Giorgio Panariello?

Lo spettacolo e la comicità credo stiano nel mio dna, nella mia vita non potevo fare altro. Mi è sempre piaciuto stare in mezzo alla gente, essere al centro dell'attenzione. Da ragazzino simulavo le interviste utilizzando come microfono la spazzola della nonna; a scuola riempivo pagine con le mie firme immaginando quando mi avrebbero chiesto gli autografi... Facevo battute, scherzavo sempre. Sentivo di dover stare in mezzo alla gente, ma non capivo bene come. Così mi sono iscritto alla scuola alberghiera e ho fatto un po' il cameriere; poi ho lasciato la scuola alberghiera perché volevo diventare una star della tv... e oggi le star della tv sono quelli che hanno fatto l'alberghiero!

Quanto ha influito la sua origine toscana in questa favola?

Tantissimo: se nasci qui respiri l'ambiente, la storia, l'ironia. La Toscana è un modo di essere. Anche se la nostra comicità è magari meno nota di quella napoletana o romana, di certo questo mondo mi ha influenzato tantissimo.

E nel mondo dello spettacolo quali incontri hanno maggiormente lasciato il segno?

Tanti personaggi mi hanno ispirato e fatto crescere. Roberto Benigni è stato il mio faro, la luce da seguire. L'incontro con Carlo Verdone mi ha fatto capire che le imitazioni andavano bene ma non erano sufficienti, occorreva uno scatto in più; e poi ancora: amici come Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni mi hanno fatto crescere professionalmente, facendomi capire che dovevo inquadrare maggiormente le cose che facevo.

E tra i suoi personaggi quali sono gli indimenticabili?

Certamente Renato Zero, che è diventato anche un caro amico e al quale rendo omaggio nel titolo dello spettacolo: la sua imitazione mi ha fatto conoscere al grande pubblico; ma anche Mario il bagnino della Versilia nel quale ho messo il salmastro che c'è in me, Merigo con la sua bicicletta e la sua sbornia. O il ricco signore della Versilia di quando facevo il cameriere, che mi ispirò Naomo. Lo spettacolo è la mia favoletta e dentro ci sono tutti i personaggi più noti.

Dove si trovano spunti per far sorridere il pubblico dopo due anni passati tra pandemia, guerra, crisi economica, rincari?

Non si trovano; l'attualità la evito. Un tempo fare satira sulla politica e il costume era più facile, gli spunti arrivavano da soli. Oggi la Tv ci rimanda immagini e vicende tragiche. E per me il modo per far sorridere è portare il pubblico in un mondo estraneo a questo contesto, facendogli vivere la “favola mia”.

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