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Notizie dal Piemonte | 14 aprile 2021, 15:14

Lotta al rischio idrogeologico: dall’Irpi di Perugia un aiuto (anche) per Piemonte e Liguria

Un nuovo modello può contribuire a prevedere le frane da pioggia. «Ma ci sono regioni che hanno già strumenti affidabili: bisogna saperli utilizzare in maniera integrata”

Rischio idrogeologico (in particolare frane indotte da precipitazioni) e sviluppo di sistemi di previsioni ed allerta per garantire la sicurezza pubblica. Di questo di occupano, presso l’IRPI di Perugia, l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica finanziato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, due ricercatori come Mauro Rossi - esperto in modellistica ambientale - e Paola Salvati, geologa.
“Dal 2004 – racconta Mauro Rossi - dopo grandi riforme burocratiche, l’Irpi è diventato uno dei Centri di Competenza del Dipartimento di Protezione civile che supportano la rete dei Centri Funzionali nelle regioni. Le competenze sono differenti: l’IRPI è competente per quello che riguarda i rischi naturali ed in particolar modo frane e inondazioni”. Secondo gli esperti del settore, l’IRPI rientra tra i tre istituti più influenti al mondo per quanto riguarda la ricerca sulle frane, insieme a USGS [il servizio geologico statunitense, ndr] e la Chinese Academy of Science.

 Su quali progetti si concentra la vostra attività di ricerca ed in che modo viene poi utilizzata dal Governo per attuare le proprie politiche?
“Il Dipartimento di Protezione civile ci chiese nel 2004 d’incominciare a disegnare un sistema per la previsione delle frane su tutto il territorio nazionale – racconta ancora Rossi -. All’epoca non c’erano ancora i Centri Funzionali delle regioni, che sarebbero stati creati due anni dopo. Nel tempo, alcune Regioni crearono il loro sistema di modellistica per prevedere le frane. Contemporaneamente al nostro sistema a scala nazionale che utilizza i dati della rete pluviometrica (misurazioni della quantità di pioggia caduta, ndr), si sono aggiunte altre convenzioni con istituzioni regionali, cominciando con Regione Liguria e Arpal Liguria. Dopodiché è partito un contratto con la Regione Sardegna ed infine con RFI, Rete ferroviaria italiana. Ovviamente, per le diverse istituzioni abbiamo adattato il sistema di allerta nazionale in base alle varie esigenze, come ad esempio modellistica climatica più locale ed analisi di rischi su specifici tracciati ferroviari. Tutti i nostri sistemi sono stati sviluppati con software e linguaggi di programmazione open source, senza licenza: sono quindi trasparenti, possono essere controllati e verificati, si possono distribuire liberamente e le istituzioni possono modificarli come pare a loro. Tutto questo lavoro ha richiesto più o meno dieci anni”.

 

Qual è la più grande sfida per l’implementazione di questi sistemi?”

“Il nostro sistema produce una probabilità di frana su risoluzione più o meno locale. La sfida è dove evacuare, dove prestare la massima attenzione – dice Salvati -. In sostanza, capire esattamente dove la frana possa finire e quali danni può infliggere a beni e persone. Bisogna capire qual è il rischio tollerabile per la società, per evitare il più possibile sia falsi allarmi ed evacuazioni inutili che pericoli inaccettabili per la popolazione. Purtroppo penso non avremo risposta a questo complicato problema ancora per molto tempo”.

Come funziona il vostro sistema di previsione?”
“Ci sono due criteri – spiega Rossi -. C’è un modello probabilistico basato sul concetto di soglia pluviometrica, cioè qual è l’intensità e la durata di un evento di pioggia necessaria per causare frane in una determinata regione? Questa soglia viene determinata attraverso l’uso di dati statistici su eventi franosi passati. La probabilità di frana viene calcolata confrontando le misurazioni della rete pluviometrica nazionali con questa soglia. Però questo è legato a quanto piove; quindi, se piove in pianura o in montagna, questa probabilità è la stessa. Come facciamo a filtrare questa informazione visto che le frane avvengono non nelle pianure, ma sui versanti? Utilizziamo una cosa che si chiama modello di suscettibilità che prende in considerazione le proprietà intrinseche del territorio, come ad esempio la pendenza, e quindi quanto è soggetto a frane. Per fare previsioni, ci affidiamo invece a vari modelli meteorologici che prevedono quanta pioggia cadrà, che poi verranno aggiornati da dati veri della rete pluviometrica. Per la Regione Liguria, ad esempio, utilizziamo sia le misure della rete pluviometrica che le stime della rete radar locale. Adesso infatti stiamo anche lavorando sulla generazione di modelli previsionali basato su piogge stimate da satellite”.
“Non c’erano altri esempi simili nella letteratura scientifica internazionale – aggiunge Salvati -. Ce n’erano alcuni che lavoravano su zone molto ristrette e con approcci molto differenti. Ciò su cui abbiamo puntato è sempre stato cercare di creare un sistema che fosse più difendibile possibile dal punto di vista scientifico”.

 

Come sta andando l’implementazione di questo sistema nelle varie istituzioni competenti come Regioni, Arpa e Protezione Civile? Lo stanno usando?”

“C’è da dire che, mentre tutti la gestione di altri rischi naturali come piene e sismi sia ben integrata dentro ai vari Centri Funzionali – dice Rossi -, il rischio idrogeologico non viene considerato allo stesso modo e si è solo recentemente verificato che c’è la necessità invece di implementare sistemi di allerta”. “L’anno scorso abbiamo fatto una serie di interventi formativi nelle Regioni ed a livello nazionale per spiegare alle autorità come funziona il nostro sistema – dice ancora Rossi -, dando loro l’accesso al software. Alcune Regioni hanno cercato di utilizzarlo al meglio. Però non è stato facile trasferire la nostra conoscenza ad operatori di Protezione Civile che nella stragrande maggioranza dei casi sono legati a situazioni contingenti deve bisogna rispondere immediatamente a quello e quell'altro. È un argomento molto complesso, però diciamo pian piano stiamo passando, come ricercatori ed accademici, ad una logica completamente operativa. Adesso chi ha questo sistema lo consulta per cercare di mettere delle allerte nei bollettini in fase di vigilanza. Ma ci sono dei sistemi che sono stati sviluppati da ogni singola regione: ad esempio, Piemonte e Val d’Aosta hanno i loro sistemi”.

Secondo voi, se si può dire, il sistema che utilizza il Piemonte è scientificamente difendibile?”

“Il loro dovrebbe essere uno dei migliori – sottolinea Rossi -. È chiaro, però, che tutti gli aspetti che noi consideriamo non siano stati valutati ugualmente da tutte le Regioni. Ma non si tratta di sostituire un metodo con un altro. Si deve imparare a guardarli tutti e due. Conviene affidarsi a più modelli: così come noi utilizziamo ensemble di modelli per la previsione della pioggia, bisogna imparare a gestire ensemble per la previsione delle frane”.

 

Nicola Gambaro

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