Arte e Cultura - 26 aprile 2024, 14:38

Riso amaro compie 75 anni

Diretto da Giuseppe De Santis e girato nelle cascine di Selve e Veneria, ragion per cui può definirsi a tutto gli effetti un film vercellese.

Silvana Mangano

Silvana Mangano

Compie tre quarti di secolo, ovvero 75 anni il lungometraggio Riso amaro diretto da Giuseppe De Santis e girato nelle cascine di Selve e Veneria, ragion per cui può definirsi a tutto gli effetti un film ‘vercellese’. Sin tratta di un’opera ormai da decenni ritenuta un capolavoro assoluto e un simbolo del cinema neorealista, anche se, all’epoca, quando è uscito nel 1949, fu oggetto di severe critiche da più parti, sia a sinistra sia al centro (allora la destra, per ovvie ragioni, la caduta del fascismo, contava pochissimo). Bisogna innanzitutto premettere che, a distanza oramai di decenni, questa fiction appare già in un’ottica post-neorealista e, anche forse per questo motivo, è stato un grande successo al botteghino appena uscito nel 1949 (girato un anno prima); nel 1950 arriva al film persino una candidatura all’estero cioè nientemeno che agli Oscar di Hollywood quale miglior pellicola straniera.

Si deve solo ricordare che, per quanto riguarda la popolarità, il neorealismo cinematografico di cui oggi tanto si parla a suon di ‘pietre miliari’ internazionali’ quali sono in effetti quasi tutti i capolavori di quella corrente per opera di grandi registi come Rossellini, Visconti e De Sica in primis nell’immediato dopoguerra ‘45-‘48) non ricevettero affatto un consenso di massa per tante ragioni: alcuni film sono effettivamente difficili (lenti e ostici) come La terra trema di Visconti, altri come la trilogia di Rossellini presentano soprattutto un argomento, la guerra, di cui gli italiani non vogliono forse più sentir parlare; altri ancora come Sciuscià di De Sica si focalizzano su realtà particolarissimi anche se proprio lo stesso De Sica ottiene il primo grande exploit popolare del cinema neorealista con Ladri di bicicletta perché in fondo risulta quasi un film di genere, cioè rappresenta in parte il filone giallo con il furto e la scomparsa della bicicletta di questo poveretto un operaio che per tutto il film cerca di ritrovarla, salvo poi compiere un gestaccio nel finale.

E allora anche Giuseppe De Santis - il magistrale regista di Riso amaro - tenta la carta del mescolamento dei generi ad esempio inserendo una vicenda sentimentale, per l’epoca piccante o morbosa, condita anche qui tinte gialle, misteriose e violente all’interno di un contesto socioeconomico da lotta di classe in senso marxista. In effetti tutta la pubblicità del film all’epoca - come mostrano via via locandine, manifesti e poster - è rivolta a sottolineare l’aspetto amoroso, erotico addirittura sexy dell’intera vicenda, tra l’altro facendo la fortuna di un’attrice esordiente (Silvana Mangano) che quasi oscurò la presenza dei due futuri sex symbol maschili (RAF Vallone e Vittorio Gassman) e che in teoria non doveva neanche essere la protagonista perché venne scelta come primadonna un’americana già molto famosa (Doris Dowling).

Per quanto riguarda proprio la pubblicità di Riso amaro il corpo statuario della Mangano prevalse su tutto e addirittura venne scartata (e adoperata solo nella brochure) una bella immagine consistente un disegno a pastelli colorati niente meno che di Renato Guttuso che all’epoca era il pittore italiano per eccellenza anch’egli definito più o meno apertamente neorealista e comunque il portavoce in pittura del partito comunista. In teoria anche De Santis doveva essere un portavoce o un capofila del del PCI nel cinema - così come Riso amaro le istanze dei lavoratori oppressi e sfruttati - ma proprio i comunisti gli si scagliarono contro, così come fecero in maniera diversa e con ragioni i democristiani. Del resto era tipico attaccare il neorealismo corrente artistica indipendente oggi definibile liberal da tutte le parti, ma la vicenda di Riso amaro tutto sommato ruotava attorno a due tipologie di critica feroce: da un lato i democristiani perbenisti non tolleravano l’eccessiva sensualità nel cinema, dall’altro invece i comunisti ancora stalinisti erano legati a una ortodossia che pretendeva sempre e quasi esclusivamente un impegno politico fondato su canoni estetici oramai obsoleti che non prevedevano il minimo scarto linguistico per così dire.

De Santis è comunque anticipatore di varie tendenze non tanto della degenerazione nel cosiddetto neorealismo melodramma - come il film a colori La risaia di Raffaello Matarazzo del 1956 ambientato a Novara - quanto piuttosto in Riso Amaro è anticipatore di un cambiamento epocale, radicale, anche antropologico, che sta avvenendo nella società italiana soprattutto in una classe contadina che oramai è priva dei valori tradizionali ma è proiettata in una modernità di stile americano in particolare a livello di mode, consumismo e tempo libero: tutto questo è racchiuso nella figura della protagonista Silvana Mangano.

E il regista De Santis sembra in tutto il film giocare sugli opposti, cioè sul tema di due antagonismi speculari ma diversissimi: maschili e femminili oppure sfruttatori e sfruttati (anche se non ci sono padroni ma solo caporali e clandestine) oppure ancora paesaggio rurale anche un po’ bucolico e appunto americanizzazione e modernità di tante situazioni che vengono anche splendidamente inscenate come i due balletti (il jazz in stile boogie-woogie, premessa al rock’n’roll) all’inizio a metà film oppure come la miss risaia eccetera eccetera. In tal senso Riso amaro sembra quasi la risposta seria alla commedia Un americano a Roma di Steno con Alberto Sordi. Ma è proprio la Mangano, modernissima in short e calzere nere in mezzo all’acqua delle risaie, a presentare questa nuova ideologia della cultura di massa, che muterà la nostra Italia da agricola a industria, da povera a potenza mondiale, cambiano persino il paesaggio: al posto delle mondine arriveranno i trattori e le mietitrebbia sempre più tecnologizzare a fare il lavoro di centinaia, migliaia di giovani braccianti. In circa un decennio la risaia è la vita di Riso amaro non esisteranno più.

Guido Michelone

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