Basket - 15 luglio 2023, 11:43

«Mi mancherà l'adrenalina delle gare, vedere i ragazzi crescere, migliorare»

Edoardo Pessano, giovane allenatore dei Rices, si prende un anno di pausa, causa impegni lavorativi. Dagli inizi, alle esperienze all'estero, all'amicizia con Antonio Galdi

Edoardo Pessano, coach della Under 17 silver nel campionato 2022-2023

Edoardo Pessano, coach della Under 17 silver nel campionato 2022-2023

Gli incontri, la grande passione per il basket, poi una pausa. Edoardo Pessano, trent’anni, ha allenato squadre giovanili dei Rices – nell’ultimo campionato la Under 17 silver – ed è stato assitant coach di Antonio Galdi nel lontano 2016.

Un paio di mesi fa circa la decisione: «Il prossimo anno mi fermo», disse.

E così è. Nei social i Rices di lui hanno scritto due cose. La prima: che ha la maglietta dei Rices cucita addosso. La seconda: che tornerà.

 

Pessano, la decisione di smettere come è maturata?

La scelta di smettere deriva dal fatto che ho dovuto e voluto intraprendere una strada lavorativa diversa che però è a Milano. Far coincidere lavorare e viaggiare e al contempo allenare veniva complicato. Nonostante il basket sia stato ed è la mia più grande passione ho preferito fare un passo indietro. Mo lo godrò da tifoso.

 

Parliamo ora di “incontri”. Lei prima di allenare ha giocato. Come e dove ha iniziato? Che giocatore era?

Ho iniziato prestissimo, a 4, 5 anni, seguendo le orme di mio cugino nella squadra di Mellone e Grasso. Poi sono passato nei Frogs, nel Vercelli Basket e, quando ero già senior, nei Rices. Poi è successo che Alex Cardano mi ha proposto di cambiare, di allenare insomma. Il mio percorso da allenatore iniziò quell’anno, come assistente di Cardano.

 

Veniamo agli incontri. “L’incontro” con i Rices, da allenatore. Primo anno dell’Under 13 poi, nel 2016, assistant coach nella prima squadra, campionato di serie C silver, allenata da Galdi.

Ho iniziato da tifoso dei Rices, quando alla Bertinetti giocarono la promozione in serie D contro il Casale. Il mio primo anno da allenatore fu nel 2016, quando allenai i 2004, insomma la Under 13. Già allora avevo iniziato a lavorare con Antonio Galdi. Con lui ho avuto un bel rapporto, sia nel mondo del basket che a livello umano.

 

Infatti...Vi ho visti parlare un paio di volte al Piacco, ho avuto la sensazione che tra voi ci sia un buon rapporto. Cos’ha significato Galdi per lei?

All’inizio non è stato facile, diciamo che all’inizio è stato quasi uno scontro. Lui arrivava da una realtà professionistica, ed aveva pretese particolari. Col tempo ho capito la bontà dei suoi gesti, delle sue parole e delle sue azioni. Per me adesso è un mentore importante (è grazie a lui se ho lavorato anche in realtà non vercellesi) e, allo stesso tempo, è anche un vero amico.

 

Giudichi se stesso, ora. Qual è il suo maggio pregio e quali i difetti da allenatore.

Penso che il mio miglior pregio sia quello di essere letteralmente affamato di studio e di miglioramento costante. Ho sempre cercato di capire e studiare altri allenatori. Sono stato anche un mese negli Stati Uniti, per vedere e imparare. Tanti altri incontri, poi, e tante ore a discutere di tattica con tecnici di grande esperienza, a partire da Galdi, con cui ho trascorso ore e ore a parlare di tattica. Il mio pregio, insomma, è la voglio di continuare a migliorarmi. Il mio maggior difetto? Pretendere tanto, magari troppo, da me stesso, e questo ci sta, ma allo stesso tempo in alcuni contesti sono stato troppo duro con i ragazzi e non avrei dovuto.

 

Domanda e risposta che debbono leggere i ragazzi che giocano. Secondo la sua esperienza, si nasce “imparati” (insomma dotati di talento) oppure si può sognare di diventare dei buoni giocatori (non importa se in serie D o in A2) grazie a una determinazione importante?

In tutti i contesti ci sono persone che raggiungono grandi traguardi senza avere il cosiddetto talento.

Certo, non tutti possono arrivare alla serie A o al professionismo, ma la dedizione al lavoro, le ore trascorse a volersi migliorare, i sacrifici, comunque paga. Può bastare questo (che non è poco) per diventare il miglior giocatore di una squadra di Promozione, serie D e anche più su. Chi ha talento non deve mai accontentarsi, chi ne ha meno deve lavorare di più: così facendo può arrivare a ottenere grandi risultati.

 

Un giudizio sull’ultima annata, con gli Under 17 silver. Quando ha deciso di lasciare, cosa ha detto ai ragazzi?

Per me è stata un po’ strana, diciamo complicata dal lavoro fuori Vercelli. Spero comunque di non aver mai fatto trapelare ai ragazzi le mie difficoltà. Anche per la squadra all’inizio non è stato semplice, perché dovevano amalgamarsi due annate diverse. Ma vederli, a fine stagione, che si divertivano ed erano anche cresciuti è stata una grande soddisfazione che ho condiviso con il mio assistente e con la società. Ai ragazzi ho comunicato la mia decisione di smettere prima di disputare l’ultima partita, a Torino. Qualcuno se l’aspettava, altri no. Ho detto loro di giocare divertendosi, dando il massimo e giocando uno per l’altro: e così è stato. Hanno disputato una grande partita, una delle migliori dell’annata, e a me, non lo nascondo, alla fine è scesa più di una lacrima.

 

Il ricordo più bello di Edoardo Pessano allenatore?

Tanti bei ricordi: la prima partita da allenatore, l’ultima di quest’anno, poi la bella esperienza come delegato per le final four di Eurolega della squadra Under 19 del Real Madrid, a Milano… e potrei andare avanti.

 

Quanto le mancherà il basket il prossimo anno?

La pallacanestro con la P maiuscola non mi mancherà mai. Avrò modo di coltivarala come osservatore, come studioso e anche da tifoso, andando a vedere le partite della mia amata Olimpia Milano e della prima squadra dei Rices. Del basket mi mancheranno due cose: l’adrenalina della gare e vedere i ragazzi che crescono, allenamento dopo allenamento.

Remo Bassini

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