Una deposizione fiume - più di due ore solo per rispondere al pubblico ministero e agli avvocati di parte civile – e una convinzione ribadita più e più volte: quella di aver agito sempre nell'esclusivo interesse dell'Asl, del prestigio del Sant'Andrea e dei pazienti che a questo ospedale si rivolgevano.
Federico Gallo, ex manager dell'Asl, è tornato a Vercelli come teste al processo in cui è parte civile, una causa per calunnia che coinvolge, come imputati, l'oncoematologo Alberto Santagostino, la funzionaria Antonietta Barbieri e il suo compagno, il finanziere Giuliano Formica. I tre, secondo l'accusa, avevano confezionato un esposto anonimo dai contenuti calunniosi che coinvolgeva Gallo, la primaria di ginecologia Nicoletta Vendola e suo marito, Andrea Adessi. Al centro di tutto le presunte influenze che quest'ultimo avrebbe esercitato sul manager, e che avrebbero portato Gallo a prendere decisioni favorevoli alla dottoressa Vendola in occasione di tre contestazioni disciplinari avvenute in anni diversi.
Nel primo caso si trattava della sospensione di 4 mesi comminata alla primaria dopo il patteggiamento relativo a un concorso per l'assunzione di un dirigente medico. Una misura che venne poi modificata da Gallo in una “sospensione lavorata” (il medico prestava servizio, senza percepire lo stipendio) su proposta dell'avvocato esperto di diritto del lavoro cui la dottoressa si era rivolta, e che aveva trovato questa possibilità all'interno del contratto di lavoro nazionale. “Fu una decisione che permise di garantire la continuità assistenziale alle decine di pazienti e di gestanti che avevano scritto lettere manifestando la loro preoccupazione – ha detto Gallo –. Prima di adottarla, chiesi pareri legali ai massimi esperti e pretesi una polizza assicurativa a carico della dottoressa”.
Il secondo episodio era invece relativo a un provvedimento legato a una segnalazione per la presenza di Adessi in una sala operatoria. La commissione disciplinare aveva proposto una multa a carico della primaria, ma Gallo non aderì “Perché vi erano troppe incongruenze nella vicenda che era stata segnalata. Innanzi tutto la dottoressa era stata chiamata in tarda notte, dalla collega di turno per alcune complicazioni che erano emerse durante un parto. Lei si era fatta accompagnare dal compagno perché in quel periodo si erano verificati episodi spiacevoli e tentativi di aggressione anche nei suoi confronti e soprattutto ritenni fondamentale una lettera scritta dai parenti della donna, in cui ringraziavano Adessi per essere stato loro accanto e per aver fornito loro aiuto psicologico in un momento difficile. Se era con loro non poteva essere in sala operatoria”.
La vicenda venne così archiviata, ma, qualche mese dopo, arrivò una nuova proposta di sanzione nei confronti della dottoressa per un motivo analogo. “Quella volta aderii alla proposta di sanzione – ha detto Gallo -. Poi rilevai però che la contestazione disciplinare era stata fatta oltre i termini previsti. Lo feci notare alla commissione ma andai comunque avanti sulla strada che era stata scelta dagli uffici dell'Asl. La dottoressa Vendola fece ricorso e il giudice Baici le diede ragione: la contestazione era stata fatta oltre i termini”.
Quanto ai legami con la magistratura vercellese, che, secondo il contenuto della lettera, avrebbero garantito a Gallo l'impunità, l'ex manager ha precisato di aver conosciuto l'allora sostituto procuratore Ezio Domenico Basso per motivi professionali (un progetto per l'assistenza psicologica alle vittime di violenza e una serie di corsi sulla sicurezza nei quali Basso era stato invitato come relatore ed esperto) e di averlo poi invitato qualche volta a cena per il comune interesse che li legava alle discipline giuridiche.
Rispetto ai tre presunti estensori della lettera, Gallo ha detto di non conoscere Formica, di aver a lungo lavorato con Barbieri “con la quale, verso la fine del mio mandato ho avuto dei contrasti perché avrei voluto attribuirle un incarico adeguato alle sue competenze ed esperienza, ma non ce ne fu la possibilità”, e poi ha raccontato la complessa vicenda che ha coinvolto Santagostino.
“Nel corso del mio mandato, un'interrogazione regionale presentata all'assessore alla Sanità, sollevava pesanti dubbi sull'operato dell'oncologia vercellese, diretta dal primario Elvira De Marino. Volendo dare i massimi chiarimenti possibili, istituii una commissione di medici e tecnici altamente qualificati e chiesi l'acquisizione di tutte le cartelle cliniche. Tra queste c'erano anche quelle di Santagostino che vennero esaminate come tutte le altre. Nel controllo emerse che, nelle prescrizioni di Santagostino, c'era un elevato utilizzo di un gruppo di farmaci ad alto costo. Leggendo i verbali della commissione farmaceutica notai anche un intervento della dottoressa Pastorelli, direttore sanitario del presidio, che segnalava l'utilizzo di un farmaco su un paziente troppo anziano e una spesa elevata e ingiustificata. A quel punto decisi di andare a fondo della vicenda, anche perché l'Asl era sottoposta al piano di rientro regionale ed era mio dovere controllare l'appropriatezza della spesa farmaceutica. C'era oggettivamente l'utilizzo massiccio di un ceppo di farmaci molto costosi, oltre 2000 euro a fiala, anche su pazienti per i quali questi medicinali non dovevano essere utilizzati secondo i protocolli. Tutti questi dati confluirono in un fascicolo penale a carico del dottor Santagostino. Nel frattempo, visto che era scaduto il suo incarico come responsabile dell'Oncoematologia, decisi di trasferirlo al Cas”.
Su questi episodi, in parte noti e molto discussi dall'opinione pubblica, si tornerà nel corso della prossima udienza del processo, quando Gallo dovrà rispondere alle domande degli avvocati delle difese di Santagostino, Barbieri e Formica.




