L’industria vinicola italiana è stata recentemente sotto i riflettori a seguito di alcune modifiche alla disciplinare di produzione di due grandi nomi del settore: Barolo e Barbaresco. Le proposte di modifica sono state approvate dalla maggioranza del consorzio, un fatto che potrebbe avere risvolti importanti per la tradizione vinicola delle Langhe.
Barolo è il tipico paesino italiano fatto di vicoli, enoteche, bar, con l’aggiunta di una gigantesca scultura in ferro a forma di calice, situata nella parte alta del paese, affacciata sui vigneti. Questo comune ha avuto il lusso di dare il nome ad uno dei vini più importanti riconosciuti in Italia e nel mondo, le cui origini rimontano al 13 secolo. I ristoranti locali sono un inno alla buona cucina ed al buon vino. Gli appassionati possono recarsi direttamente in enoteca per comprare una di queste preziosissime bottiglie o sfruttare il mondo dell’e-commerce, dove esistono piattaforme come Svino che propongono decine di etichette dei migliori produttori a prezzi scontati e con consegna a domicilio.
I produttori di Barolo e Barbaresco hanno recentemente ratificato diverse riforme al disciplinare di produzione presentate quest'anno del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani. Uno dei cambiamenti più notevoli è la limitazione della zona di imbottigliamento per Barolo e Barbaresco, che da ora in poi dovrà sarà limitata alla zona di vinificazione. In questo modo viene limitata la concorrenza sleale messa in atto da un pugno di aziende che vendevano il vino sfuso all’estero (Stati Uniti e Svizzera, principalmente), dove questo veniva poi imbottigliato. Tra le altre modifiche, è stata validata l'integrazione dei formati più grandi: questa modifica autorizza i produttori a utilizzare per la vendita formati da 6 fino a 18 litri, cosa che fino ad ora era consentita solo per uso promozionale.
Nonostante i produttori abbiano votato a favore di queste modifiche, altre proposte non hanno raggiunto il quorum di soci favorevoli richiesto dai regolamenti. Si tratta ad esempio della possibilità di impiantare vigne di Nebbiolo sui versanti esposti a Nord delle colline e dell’interscambiabilità tra Barolo e Barbaresco, ovvero che un vino possa essere vinificato ed imbottigliato nell’area di produzione dell’altro e viceversa. Questo fatto dimostra che la tradizione vitivinicola delle Langhe e di Dogliani continua a giocare un ruolo determinante nelle decisioni del settore e si tratta senza dubbio di decisioni in grado di creare un prima e un dopo nel panorama dei vini italiani, come già avvenuto in passato nella storia del Barolo.
Secondo alcuni documenti storici, infatti, il primo vino prodotto con il vitigno Nebbiolo, autoctono del Piemonte, fu realizzato nell'anno 1268, a Rivoli, vicino a Torino. Fu poi una decisione presa nel 1843 Juliette Colbert di Maulévrier che cambiò la storia dei vini piemontesi e del barolo. Juliette, meglio conosciuta come la Marchesa del Barolo, era una donna di grande dinamismo sociale e visionaria, oltre ad essere la moglie del banchiere Carlo Tancredi Falleti, marchese di Barolo. Fu lei che decise di rivolgersi all'enologo Louis Oudart, per migliorare la qualità dei vini rossi prodotti nelle sue tenute. Oudart si dedicò allo studio degli effetti del clima, del suolo e dell'ambiente sulle colture e scoprì come le elevate quantità di zucchero del vino fossero causate dalle basse temperature dell'Italia nordoccidentale, che interrompevano il processo di fermentazione. L’enologo francese consigliò di utilizzare lieviti speciali per consumare tutto lo zucchero presente e dare vita così ad un rivoluzionario vino secco, il Barolo, che da subito conquistò il palato persino del Re Carlo Alberto di Savoia. Da lì in poi per il Barolo il passo è stato breve per trasformarsi nel “re dei vini”, che apprezziamo ancora oggi.