«Tanti auguri per la Prima Comunione della mia adorata nipotina».
Una vecchia dedica, un po' sbiadita, di un nonno che regalò un “Pinocchio” a sua nipote per la Prima comunione.
«Son cose che non si fanno più, lontane nel tempo. Io però so una cosa: che in ogni Pinocchio che si trova, magari in una bancarella, ci sono due storie: quella di Pinocchio e quella di chi quel Pinocchio l'ha avuto tra le mani in un momento particolare, dell'infanzia o anche da adulto. Perché Pinocchio va letto due volte: da piccoli e poi, anni e anni dopo, quando si scopre che in fondo, quel che Collodi ci aveva raccontato, l'abbiamo poi vissuto davvero. I Gatti e le Volpi son dappertutto...».
Il mondo di Diana Fassina, 52 anni, impiegata, è questo: due figlie (Arianna di 26, Aurora di 23), la vita che corre al quartiere Belvedere («un rione fantastico, cosmopolita») e all'oratorio dei Salesiani (dove ha fatto volontariato, fino all'anno scorso), tanti libri e letture («da piccola sognavo di diventare una bibliotecaria») e una collezione: 400 copie di Pinocchio.
In queste 400, tenuta da parte, c'è la copia da cui tutto iniziò.
Diana ha 3 anni, vive a Santhià con la sua famiglia. Un giorno la famiglia cresce: una sua cuginetta di 7 anni ha perso la mamma, verrà a vivere da loro.
«Si chiama Stefania, e per me, da allora, è diventata una sorella. Non c'è giorno in cui io non la veda o non la senta. Il primo Pinocchio che ho avuto era suo, glielo aveva regalato la sua maestra. Poi ne sono arrivati altri tre o quattro, acquistati in edicola. Ma quel Pinocchio, che è “il mio Pinocchio punto zero”, è fuori collezione, perché è parte di me».
Tre copie di Pinocchio, insomma, e intanto Diana cresce. Succede però qualcosa...
«Sì, a scuola, frequentando le magistrali di Vercelli. Avevo un docente di didattica, il professor Giovanni Fiorano di Borgo d'Ale, che era un uomo dai mille interessi, il teatro per esempio. E anche Pinocchio. L'entusiasmo con cui lo spiegava è qualcosa che mi è rimasto dentro, e che non dimentico».
E fu allora che diventò una collezionista di Pinocchio?
«No, non era tempo. Anni dopo, ripensando alla mia vita e rimettendo a posto le cose da cui non mi ero mai separata, mi sono trovata tra le mani i Pinocchio della mia infanzia. Cominciai ad acquistarne, a catalogarli».
In che modo?
«Acquistandone alle bancarelle e, allo stesso tempo, entrando in contatto con grandi e piccoli collezionisti, utilizzando la rete. Si conosce un mondo...».
Per esempio?
«Per esempio il maestro d'orchestra Severino Zannerini: possiede una delle collezioni di Pinocchio più importanti in Italia ed è un punto di riferimento da moltissimi collezionisti. E poi c'è il capitolo interessantissimo dei Pinocchio tradotti in dialetto (ho conosciuto il figlio di Ernesto Prudente, un personaggio. Tradusse Pinocchio nel dialetto dell'isola di Ponza)».
E poi c'è instagram dove ho incontrato le copertine.
«Sì, con l'aiuto delle mie figlie ho postato su Instagram, dividendoli in sezioni - classici, dialetti italiani, in lingua, in latino - circa 200 copertine».
Diana, quando finirà la ricerca di un altro Pinocchio ancora?
Mi guarda, sorride.
Non finirà.