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Politica | 01 novembre 2021, 14:28

Pozzolo e il "no" al vaccino SarsCov2: «Difendo il diritto a scegliere consapevolmente»

L'assessore comunale aveva dichiarato di non essersi vaccinato, suscitando un dibattito sui "doveri morali dell'amministratore pubblico"

Pozzolo e il "no" al vaccino SarsCov2: «Difendo il diritto a scegliere consapevolmente»

Gentile direttore,

la scorsa settimana ho avuto modo di leggere un’interessante analisi etico-filosofico-antropologico-politica inerente alla mia persona, pubblicata su un noto giornale cittadino: l’autore della riflessione si rifaceva a una mia dichiarazione contenuta in una recente intervista da me rilasciata al vostro giornale.

Il punto in questione era quello in cui io testualmente dichiaravo: “Da non vaccinato - che rispetta, pur non condividendola, l’aberrante normativa sul "lasciapassare verde" - e soprattutto da persona che tenta di ragionare con la propria testa - conosco molto bene cosa significano per migliaia di lavoratori i tamponi a pagamento ogni 48 ore e il tempo e i soldi persi per poter semplicemente difendere e affermare il sacrosanto diritto di scelta individuale”.

Tale dichiarazione stupiva il commentatore il quale, retoricamente, – nella sua “replica” – si e mi chiedeva: “Il Capo dello Stato (...) asserisce che vaccinarsi è un dovere civico e morale: può dunque un amministratore pubblico non tenerne conto?".

Essendo, quindi, stato messo all’indice come una sorta di estroso ardito no-vax mi piace rispondere con serena tranquillità in merito alla questione di fondo relativa alla “eticità” in capo a un amministratore pubblico di dichiarare o meno la propria personale scelta di carattere sanitario in riferimento alla cosiddetta vaccinazione contro il virus SARS-CoV-2.

Personalmente credo - pur non essendomi mai definito un liberale e non avendo mai fatto i gargarismi con la parola democrazia - di aver letto poche domande retoriche più intrise di cesarismo rispetto a quella di cui si tratta.

Io penso, infatti, che ogni persona sia creata ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1, 26-28), unica ed irripetibile nel suo essere spirituale e corporeo, dotata di una libertà e di una dignità intrinseche esclusivamente al proprio status di essere umano: tutte questioni ontologiche che sono in sé stesse e non sono soggette ad alcuna concessione da parte alcun potere terreno.

Partendo da questo presupposto metafisico e metapolitico sono, sic et simpliciter, contro ogni tipo di totalitarismo inteso come esercizio del potere di un terzo che in nome dei più svariati dogmi (teologici, filosofici, politici, ambientali, bio-tecnologici, sanitari) tenti di conculcare la libertà personale, la proprietà privata e il libero sviluppo dell'essere umano.

Come scrisse Ernst Jünger - recentemente richiamato anche da Marcello Veneziani quando ha indicato (recensendo il libro “Conservare l’anima” di Francesco Borgonovo) la strada di una "ribellione conservatrice" che sia in grado di reagire alla situazione attuale - urge declinare la propria libertà individuale "nell’intenzione di contrapporsi all’automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo".

A fronte di questo risulta evidente che la risposta alla succitata domanda posta dall'autore dell'articolo in questione - ossia se sia "etico" per un amministratore pubblico non tenere conto delle affermazioni apodittiche in tema di pratiche sanitarie pronunciate dal Capo dello Stato - la mia personale risposta non può che essere assolutamente positiva.

Sì, posso affermare di non condividere alcune affermazioni dei massimi vertici istituzionali dello Stato italiano con serena e inamovibile fermezza: lo posso fare non soltanto sulla base delle mie personali convinzioni ma anche supportato da quanto previsto e sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana, che all'art. 21 precisa solennemente che "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione".

Facile, a questo punto, immaginare l'obiezione avversa: relativa al fatto che un'opinione, un credo o la libera manifestazione di un pensiero sono lecite sino a che non creano danno al prossimo (sia nella sfera puramente astratta che nella sfera della concretizzazione dell'idea "che diventa azione", come avrebbe detto Ezra Pound). 

È proprio e precisamente questo il punto nodale della questione: cosa autorizza l'arroganza pseudo-scientifica di chi mette all'indice esseri umani che non intendono sottoporsi ad un trattamento sanitario (peraltro di natura sperimentale e che purtroppo fa registrare casi di gravi reazioni avverse, quando non addirittura il decesso fisico) che dovrebbe immunizzare da un virus ma che, nella realtà delle cose, è al massimo equiparabile ad una più o meno efficace cura preventiva?

Quale sarebbe il criterio etico - visto che qualcuno ama tanto parlare di "etica" - che autorizza la discriminazione di milioni di uomini e di donne che sarebbero semplicemente "colpevoli" di esercitare il sacrosanto diritto costituzionale sancito dall'art. 32 della Costituzione italiana ("Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.")?

Non si riesce francamente a capire a quale sorta di "etica" ci si voglia riferire: e quand'anche tale eventuale "etica" venisse rintracciata, definita e circoscritta essa sarebbe di natura impositiva, totalitaria e senza dubbio intrinsecamente violenta.

È vero infatti che - non solo la Costituzione italiana - bensì anche il massimo organo giurisdizionale deputato a difendere la Costituzione medesima, ergo la Corte Costituzionale, già si è espresso in modo inequivocabile su tema de quo con la storica sentenza n. 307/1990 (sull'obbligo della vaccinazione antipoliomielitica) quando afferma che "la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 della Costituzione" a patto che "il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri".

Ecco: non entro nel merito della prima delle due considerazioni della sentenza appena citata (migliorare o preservare lo stato di salute della persona a cui è destinato il trattamento sanitario), ma nego - sulla base delle stesse affermazioni unanimemente espresse anche dai più accaniti sostenitori dell'unicità della "via vaccinale" - che il trattamento sanitario consistente nell'inoculazione dei sieri genici anti SARS-CoV-2 possa essere qualificato come garanzia assoluta di non trasmissibilità del virus medesimo: semplicemente perché è provato scientificamente (questo sì, scientificamente), senza tema di smentita, che questo non risponde al vero.

Inoltre - sempre ricorrendo a quanto già sentenziato dalla Corte Costituzionale - il trattamento sanitario non può "incidere negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e pertanto tollerabili. Con riferimento, invece, all'ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto, il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria".

Penso, quindi, che in termini di "etica politica" - invece di scomodare Platone (che poi era quello che scrisse che "la libertà consiste nell'essere padrone della propria vita") - sia sufficiente ragionare su alcuni dati incontestabili, quelli sì, morali, filosofici, politici, giuridici e sanitari: che indicano nella libera scelta vaccinale anti SARS-CoV-2 solo una delle possibili scelte individuali.

D'altronde la più parte degli opinionisti politici (anche quelli di quarta o quinta fila come nel nostro caso) ripete da mesi, con disciplinata obbedienza a metà tra il littorio e il kolchoziano, il leitmotiv del “dovere civico e morale” di vaccinarsi, quasi con tensione palingenetico-eucaristica.

Quello di vaccinarsi non dovrebbe essere propagandato come un dovere - soprattutto in assenza di una legge in tal senso e soprattutto nel contesto di uno Stato che tuttora si definisce "costituzionale" - ma dovrebbe eventualmente essere il frutto di una libera e ponderata scelta individuale: esattamente come accade in tutte le nazioni d'Europa e del mondo (tranne che in Indonesia, Turkmenistan, in Micronesia e in Tajikistan dove vige per l’appunto l’obbligo vaccinale relativo al SARS-CoV-2).

Il fatto che non si possa in alcun modo parlare di “dovere” - né etico né tantomeno giuridico – in relazione al vaccino anti SARS-CoV-2 è provato dall’evidenza burocratica: infatti per poter accedere all'inoculazione dei sieri necessita la sottoscrizione personale di un modulo nel quale, sostanzialmente, si fa richiesta del trattamento sanitario consistente nella somministrazione del cosiddetto “vaccino”. Tutto questo perché l'attuale normativa (quella aberrante che prevedere il "lasciapassare verde" anche per lavorare) consente, legalmente, una libera scelta tra il vaccinarsi e il sottoporsi ogni 48 ore al tampone antigenico.

Perché allora tutta questa protervia ideologica - quasi furiosa e pubblicamente inquisitoria - contro chi sta semplicemente esercitando un suo proprio diritto personale, peraltro rispettando una legge che pure reputa ingiusta e discriminatoria?

Davvero si fa fatica a leggere con razionalità e logica i fatti contemporanei: sembra che il modus operandi fondato sulla ragione e sulla logica sia ostaggio di un'irragionevolezza incontrollabile e irrefrenabile, una sorta di talebanesimo scientista che si auto-dichiara portatore di verità assolute e non soggette al dubbio.

La costrizione surrettizia e ipocrita alla vaccinazione di massa - effettuata tramite l'escamotage del cosiddetto green-pass - è palesemente, dichiaratamente, irrazionale. A tal proposito mi piace menzionare cosa scrive il Prof. Tommaso Scandroglio, docente universitario di Etica e Bioetica: "Quando un comando è irragionevole vuol dire che è contrario ai principi di legge naturale e dunque ingiusto. Avremmo quindi un obbligo legale, ma iniquo. Non ius quia iustum, ossia una norma che trae la sua validità dalla sua giustizia, ma ius quia iussum, ossia una norma che trae la sua validità unicamente dal potere di chi l'ha varata, dal fatto che è stata comandata, imposta".

Davanti a un pericoloso continuo perpetuarsi di un perenne “stato di emergenza” – già denunciato da filosofi come Diego Fusaro, Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, certo non rei di essere dei pericolosi reazionari fascisti – e innanzi alla oggettiva possibilità medica di poter curare gli eventuali malati contagiati dal virus SARS-CoV-2 occorrerebbe tutti quanti dismettere quanto prima i panni da guerra civile sanitaria e, con ragionevole responsabilità, vivere da esseri umani e non da malati potenziali.

In conclusione, forse, dovremmo tutti ritornare a vedere nel prossimo non un pericoloso ipotetico attentatore alla nostra salute: ma un essere umano - creato, libero e responsabile - con il quale affrontare, anche nelle reciproche differenze, un vivere comunitario che non può certo ridursi a essere una gigantesca e opprimente macchina di ipocondria tecnico-sanitaria di massa.

Emanuele Pozzolo

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