Borgosesia espone bandiere a mezz’asta: è il simbolo del dolore per il destino che attende il popolo afghano dopo la presa di potere da parte dei Talebani.
Ed è soprattutto il dolore per le donne afghane, destinate ancora una volta a pagare il prezzo più caro per l’insediamento di un regime che considera la donna null’altro che un bottino di guerra.
All’indomani dell’ingresso dei Talebani a Kabul, mentre migliaia di disperati cercano in tutti i modi di lasciare il Paese, il timore più grande, riguarda il destino delle donne: sono loro a rischiare di ricadere nella condizione del precedente regime dei talebani (1996-2001), quando in nome della rigida applicazione della legge coranica avevano il divieto assoluto di uscire di casa se non accompagnate da un tutore maschio, di truccarsi, usare smalto, indossare gioielli. Non potevano lavorare nè frequentare la scuola. E non potevano ridere; erano state annullate a tal punto da dover limitare anche il rumore prodotto mentre si muovevano: il rumore dei tacchi venne vietato nel 1997.
«Borgosesia è una cittadina dove la qualità della vita ed il rispetto dei diritti umani sono al centro dell’attenzione - spiega il sindaco Paolo Tiramani, deputato della Lega – abbiamo realizzato un monumento dedicato alla tutela della legalità, dedicandolo a una donna, simbolo di forza e di amore: la nostra concittadina Emanuela Setti Carraro, che perse la vita nella guerra contro la mafia, accanto al suo sposo, il generale Dalla Chiesa. Questa figura femminile è simbolo del rispetto che la nostra città, e la nostra cultura, hanno per le donne. Sono basito dal silenzio assordante di donne autorevoli della nostra politica sul destino delle donne afghane: vogliamo stare fermi a guardare, attendendo che accada ciò che illustra la fotografa iraniana Shadi Ghadirian? La sua fotografia è choccante – dice Tiramani – e non riesco a non pensarci: una donna islamica con in braccio la sua bambina sorridenti vengono progressivamente “cancellate”, fino a scomparire nel nero di un velo che le copre completamente. Io non ci sto!».
Negli ultimi 20 anni, grazie all’azione di tante attiviste, le donne afghane hanno a poco a poco riconquistato alcune progressive concessioni, rendendosi di nuovo visibili dopo anni trascorsi dietro un burqua. Finalmente hanno potuto tornare a scuola, al lavoro, nelle televisioni. Hanno riconquistato il diritto di voto. Oggi tutto questo è a rischio, e l’Occidente non può voltarsi dall’altra parte.
«La scelta di abbandonare l’Afghanistan è frutto della politica statunitense – aggiunge Tiramani – accordi già presi da Trump con l’accordo di Doha del febbraio 2020, poi confermati da Biden senza però imporre le previste condizioni, ossia il cessate il fuoco, l’interruzione dei contatti con Al Quaeda, l’avvio dei colloqui inter-afghani. Nel 2001 tutto l’Occidente aveva seguito gli Stati Uniti, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, in nome dell’art.5 del Trattato Nato che prevede l’aiuto di tutti gli altri membri a un Paese sotto attacco. Oggi, nuovamente, tutti seguono gli USA perché nessun altro Paese ha la forza di sostenere una guerra in quei luoghi, ma intanto si crea una terra di mezzo dove potranno riprendere vigore le formazioni terroristiche e dove crescerà la produzione di droga con la quale i terroristi si finanzieranno. Non possiamo stare a guardare!»
Ed infine, il sindaco lancia un appello forte e chiaro: «Noi, come città di Borgosesia, siamo a fianco delle donne afghane e di tutto il popolo per chiedere al mondo occidentale di non lasciare questa popolazione nelle mani di un regime oscurantista e irrispettoso dei diritti umani. Mi auguro – conclude Paolo Tiramani - che altri sindaci e altre città, in Italia e in tutta Europa, facciano presto lo stesso, per creare un movimento di opinione alla base di un’azione concreta: vorrei vedere un impegno trasversale, che travalichi le appartenenze politiche, e sia nel nome dei diritti umani e del futuro di tutti noi».