Vercelli dice addio a una delle ultime donne della Resistenza: a 99 anni è morta Annita Bonardo, la “Mimma”, partigiana della Brigata Garibaldi e coordinatrice dei “Gruppi di Difesa delle Donne e aiuto ai Combattenti della Libertà” durante l'occupazione. Era nata nel 1920 in una famiglia antifascista – il padre si era licenziato dalla Sambonet per non prendere la tessera del Fascio “ma siccome era l'unico che sapeva fare una particolare lavorazione lo facevano lavorare di nascosto”, raccontava lei – e lei, giovane impiegata al catasto, fin dai primi giorni dell'occupazione era stata impegnata in attività clandestine e di promozione della difesa delle donne.
Entrò in clandestinità dopo aver organizzato uno sciopero animato da operaie e impiegate (che sostituivano nella fabbriche i mariti in guerra) che consentì di salvare la vita ad alcuni giovani renitenti alla leva catturati dai fascisti e destinati a essere fucilati. “Incontrai una mia collega – raccontò per un quaderno sulle donne della Resistenza edito dall'Istituto Storico - che piangeva e diceva di aver visto prendere dei giovani renitenti alla leva e di aver sentito che li avrebbero portati prima in Prefettura e poi dietro al cimitero per fucilarli. Pensai che non potevamo restare indifferenti e che qualcosa dovevamo fare. Si è così deciso che tutte le donne sarebbero uscite a manifestare perché non volevamo che quei ragazzi fossero fucilati. Avvertite da me e da altre donne, le operaie della Setvis, della Sambonet e della Faini, sono uscite dalle fabbriche e tutte insieme, siamo andate in via Pietro Micca, a manifestare. Ma dopo poco sono arrivati i fascisti e la polizia. Uno dei fascisti ha voluto sapere il motivo dello sciopero, e alla mia spiegazione mi ha chiesto se avremmo fatto lo stesso se ad essere fucilati fossero stati dei fascisti, io gli ho risposto: Certamente no! e lui afferrandomi per un braccio mi ha ordinato di seguirlo in Questura”. Una delle donne se ne accorse e urlò alle altre di non farla portar via: “Allora le scioperanti, facendo una gran ressa intorno, gli hanno impedito di portarmi via e, a un tratto non so come, mi sono trovata sulla mia bicicletta insieme a un compagno partigiano che mi ha aiutato a sparire in fretta e così sono entrata in clandestinità”.
La rivolta delle donne aveva comunque sortito l'effetto sperato: i ragazzi ebbero la vita salva.
Ma per la Mimma erano iniziati i momenti più difficili: pochi mesi dopo venne arrestata dalla Brigata Nera e finì in carcere al Beato Amedeo in attesa di essere processata a Torino. Per riuscire a scappare simulò un attacco di appendicite e si fece trasferire dal carcere all’ospedale, dove c’erano medici e infermieri antifascisti: doveva essere una scusa, invece l’appendicite era davvero da operare. Dopo pochi giorni di degenza, con la complicità di un’infermiera e l’aiuto dei partigiani riuscì a scappare: restò nascosta per otto giorni a casa di una donna antifascista, poi andò a Roasio, in un ospizio gestito dalle suore e infine, agli ordini di Cino Moscatelli, comandante della “Brigata Garibaldi” della Valsesia, si occupò fino alla Liberazione del coordinamento dei “Gruppi di Difesa delle Donne e l’aiuto ai Combattenti della Libertà”.
Battagliera e tenace, nel dopoguerra aveva portato avanti la sua attività per i diritti delle donne come funzionaria del Pci, tra le mondine, le operaie, le donne del Sud degli anni '50 e '60 che scontavano quello che allora era un grande divario anche culturale rispetto al Nord industriale. Fino all'ultimo, è stata un'attenta osservatrice del mondo che le stava intorno e che ha sempre guardato dalla parte degli ultimi.
Venerdì alle 12 è previsto il commiato (in osservanza alle disposizioni sul Covi-19) davanti al Mausoleo ai Caduti della Resistenza al cimitero di Billiemme.