Quattro ore serrate, più di 150 domande degli avvocati e alcuni momenti tesi, con botta e risposta tra legali delle difese e delle parti civili. Nella seconda parte della lunga deposizione dell'ex manager dell'Asl di Vercelli, Federico Gallo, la parola è passata agli avvocati che, nel processo per la lettera anonima dell'ottobre 2014, difendono i tre imputati: Andrea Corsaro e Aldo Casalini (per l'oncoematologo Alberto Santagostino), e Renzo Inghilleri (per la dirigente dell'Asl Antonietta Barbieri e il colonnello della Finanza Giuliano Formica).
Più di 150 domande, si è detto, poste con l'obiettivo di dimostrare che il clima vissuto all'Asl tra il 2013 e il 2015 era quello descritto nella lettera. Corsaro è dunque tornato sulle decisioni prese da Gallo in relazione ai tre procedimenti disciplinari aperti negli anni nei confronti della primaria di Ginecologia, Nicoletta Vendola (parte civile nel processo) insistendo, in particolare, sul ruolo attivo tenuto dal manager nel modificare la sospensione dal lavoro dopo una sentenza di patteggiamento e sulla discrezionalità applicata nell'archiviare un procedimento, per il quale, invece, la commissione disciplinare aveva proposto una sanzione.
E poi una lunga serie di domande per chiarire il ruolo rivestito dal marito della dottoressa Vendola, Andrea Adessi, che, nella lettera che ha innescato il procedimento, viene rappresentato come capace di influenzare pesantemente le decisioni assunte da manager. Sia quelle relative ai due episodi legati alla sua presenza in sala operatoria finiti in altrettanti procedimenti disciplinari nei confronti della moglie, sia più in generale su scelte di carattere aziendale.
“Che ruolo aveva il dottor Adessi? Era un suo problem solver? E' vero che era spesso con lei nei corridoi dell'Asl? Che ha partecipato alla preparazione e poi ha presenziato a una conferenza stampa per l'apertura di un reparto a Borgosesia'?” ha insistito Corsaro. “Adessi, come me, era una persona che era fuori dai salotti vercellesi – ha risposto Gallo -. In più conosceva politici di vari schieramenti e quindi e capitato che fosse presente in alcune circostanze. Essendo medico, a volte ha potuto darmi consigli utili in merito alla ricaduta sanitaria di certe decisioni organizzative che assumevo io”. “E lei nel suo staff non aveva nessuno in grado di darle questi consigli?” ha ribattuto Corsaro. “Io preferivo avere un punto di vista esterno” ha risposto Gallo.
Domande di chiarimento anche a proposito dell'atto di riconferma della dottoressa Vendola nell'incarico di primario a fronte dell'entrata in vigore di una norma anticorruzione che avrebbe potuto prefigurare una condizione di inconferibilità a fronte della sentenza di patteggiamento. “Aveva dubbi sulla conferibilità dell'incarico alla Vendola?” ha chiesto Corsaro. “Sì c'erano” è stata la risposta del manager, che ha detto di non ricordare se ai tempi fosse stato chiesto un parere legale in proposito.
All'avvocato Casalini è toccato sviscerare la vicenda legata ad Alberto Santagostino. Il suo spostamento dall'oncoematologia al Cas, tra il 2013 e il 2014 aveva causato una vera e propria sollevazione tra pazienti e cittadini. “Come mai a fronte di oltre 5000 firme raccolte dai cittadini a sostegno del dottor Santagostino, lei non ebbe lo stessa crisi di coscienza che aveva avuto ai tempi della sospensione della dottoressa Vendola?” ha chiesto Casalini. “Perché in quel momento c'erano dubbi sull'appropriatezza delle cure attuate da Santagostino. La commissione istituita per verificare la situazione di oncologia aveva evidenziato un uso inappropriato di presidi medici particolarmente costosi su pazienti anziani e io avevo il sospetto che questo uso potesse essere nocivo”.
Casalini, dal canto suo, ha evidenziato come, nella relazione dei tecnici ci fosse scritto “uso generoso di farmaci. Non uso inappropriato o nocivo”, aggiungendo poi che il procedimento penale scaturito da quella vicenda si è concluso con l'assoluzione di Santagostino dall'accusa di aver causato lesioni ai pazienti. Assoluzione richiesta dal pubblico ministero. “All'epoca, però, io non avevo contezza di questa situazione: avevo un dubbio e ho ritenuto di agire nel modo migliore” ha replicato Gallo.
Santagostino tornò poi al suo posto dopo la sentenza di appello rispetto al reclamo che aveva presentato al giudice del lavoro. “Se era convinto di agire per il bene dei pazienti, perché non ha impugnato quella sentenza?” ha chiesto Casalini. “Mi sono arreso di fronte alla pressione mediatica, all'intervento dei sindacati, a un'interrogazione del consigliere regionale Ronzani, e poiché era stato aperto un fascicolo penale sulla vicenda. Non volevo si pensasse che mi accanivo in qualche modo contro il medico” ha risposto il manager.
Da parte dell'avvocato Inghilleri la richiesta di chiarimenti sui rapporti tra Gallo e Adessi in relazione all'attività professionale di quest'ultimo – direttore commerciale di un'azienda farmaceutica. E la richiesta di fare esempi di problemi risolti da Adessi all'Asl. Gallo, a distanza di tempo, ha detto non ricordare episodi specifici in proposito. Infine la richiesta di sapere come Gallo intervenne in relazione a una presa di posizione sindacale nei confronti della Vendola “per certe intemperanze avvenute in sala operatoria nei confronti di infermiere e anestesista”. Gallo in proposito ha detto di aver organizzato alcune riunioni con le parti interessate e di aver risolto la vicenda trasferendo ad altro reparto il personale entrato in contrasto con la primaria.
A chiudere le parti civili: l'avvocato di Nicoletta Vendola ha chiesto a Gallo se avesse mai avuto pressioni per l'assegnazione ad Antonietta Barbieri di un incarico dirigenziale più elevato di quello occupato. “L'onorevole Buonanno mi chiamò dicendo che teneva a questo incarico, ma io stesso ci tenevo. Solo che non fu possibile portare a termine la cosa, tanto che mi risulta che nemmeno oggi si stata costituita questa struttura”.
Una sfilza di no, infine, come risposta alle domande di Roberto Cota, che rappresenta Adessi. Gallo ha ribadito che il marito della dottoressa Vendola non aveva un incarico formale all'Asl, non veniva consultato prima di assumere decisioni dirigenziali e non venivano acquistati farmaci dalle aziende a lui riconducibili.