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Scuola | 21 gennaio 2020, 16:00

"Il giorno in cui provai pietà per i miei aguzzini": incontro con Liliana Segre

Anche gli studenti del Lanino hanno seguito, in diretta video, l'incontro organizzato al Teatro degli Arcimboldi

"Il giorno in cui provai pietà per i miei aguzzini": incontro con Liliana Segre

Il 20 gennaio 2020, anche noi siamo stati al Teatro Degli Arcimboldi di Milano, senza spostarci dalla nostra scuola. Abbiamo risposto all’invito del nostro dirigente scolastico e ci siamo collegati in diretta per ascoltare le parole con cui Liliana Segre ha rievocato le memorie dei terribili giorni vissuti ad Auschwitz.

La ministra dell'Istruzione, Lucia Azzolina, docente di Storia e Filosofia, ha iniziato la conferenza ricordando il recente viaggio della Memoria che l’ha portata con oltre cento studenti ad ascoltare le voci dei sopravvissuti. “Gli studenti sono partiti con un bagaglio pieno di conoscenza verso quei luoghi dove si sono consumate delle situazioni terribili e sono tornati con occhi e sguardi del tutto diversi”. 

Liliana Segre ha poi fatto il suo ingresso nel teatro accolta da 2000 studenti che si sono alzati in piedi e l’hanno accompagnata fino al palco con i loro applausi.

La Senatrice ha ringraziato la Ministra e le autorità, “ma il mio ringraziamento principale - ha detto - va a tutti gli insegnanti che prendono come una missione la propria professione... e a tutti gli studenti a cui parlo come una nonna perché dopo tanti anni di silenzio sui fatti di cui sono stata testimone e vittima, quando sono diventata nonna ho capito che non potevo più aspettare”.

Queste sono le prime parole pronunciate da Liliana Segre, donna di forza straordinaria e testimone della più grande persecuzione mai vista nella storia umana, capace di parlare a noi giovani in una maniera eccezionale, portando a galla il dolore fisico e psicologico vissuto, le sue paure e suoi pensieri di bambina. Ha ricordato una poesia di Primo Levi intitolata “Agli Amici”, in particolare un verso in cui lo scrittore spiega quanto sia importante anche un incontro di un attimo, uno sguardo, seppur di sfuggita,” e quel momento sarà per sempre un incontro fra esseri uguali, mai uno scontro”. Questa mattina anche noi, che eravamo lontane, abbiamo sentito il suo sguardo e l’abbiamo incontrata.  

Ero una bambina qualunque, una bambina felice”, ha detto la Segre, ricordando la sua infanzia.

Felice fino all’estate del 1938, l’anno delle leggi razziali. Ero nata ebrea e mi veniva fatto questo castigo tremendo di non poter più andare nella mia scuola, di cominciare a vedere intorno a me quell’indifferenza da cui non sono mai guarita... Quell’indifferenza dalla maestra, dalle mie compagne che non notarono neanche la mia assenza... Quando mi incrociavano per strada al mio nome aggiungevano sempre la parola EBREA per segnare la diversità, un confine difficile da superare...”.

Liliana Segre ha ricordato gli amici che la nascosero, rischiando la vita, ma anche coloro che non ebbero pietà, come l’ufficiale svizzero tedesco che accolse lei e suo padre con una freddezza spaventosa decidendo che li avrebbe respinti. “Non volle sentire ragioni, lo pregavo, piangevo, ma lui rimase immobile".

Ha ricordato l'arresto e il padre ammanettato, il tragitto per arrivare al carcere di Varese. “Nessuno di quei carcerieri fece un atto di pietà. La pietà, ragazzi, è importantissima, la pietà è meravigliosa perché è la pietas latina, è quella che fa essere buona una persona verso un’altra anche sconosciuta. E  non so se sia più importante chi riceve la pietà o chi è capace di essere pietoso”.

Poi l’arrivo a Milano al carcere di San Vittore, dove gli uomini venivano interrogati, torturati, picchiati, per sapere tutto, dove avevano nascosto i soldi, i parenti, gli amici. 

Io restavo sola nella cella e diventavo vecchia. Quelle ore aspettando che tornasse mio papà erano terribili... E quando lui tornava e ci abbracciavamo in silenzio, non mi voleva raccontare niente,  non ero più la sua bambina, ero sua sorella, ero sua madre”.

La Senatrice Segre si è rivolta direttamente a noi adolescenti dicendoci che non dobbiamo essere tenuti sotto campane di vetro, ci ha detto che siamo “fortissimi”, grazie alla forza della nostra gioventù, che siamo “portatori della vita” e che dobbiamo essere forti  anche per i nostri genitori che possono avere mille problemi.

Dite basta a questa storia dell’adolescenza che deve essere protetta perché voi invece dovete essere preparati alla vita”.

Quaranta giorni dopo l’arresto, ci ha raccontato Liliana Segre, un generale comunicò che sarebbero dovuti partire per una destinazione ignota.

“Attraversammo la città indifferente, muta, silente. Nessuno si mise davanti a quei camion per dire NO NO NO. Nessuno fece la scelta di combattere una cosa di quel genere, perché era più facile essere indifferenti... La finestra di ognuno era chiusa, la mente era chiusa, il cuore era chiuso”.

E il racconto dell’arrivo alla Stazione Centrale, caricati a calci e pugni su un vagone per animali, 50 persone con un solo secchio per i bisogni.

Si comincia a perdere la dignità, si comincia a diventare quello che i nostri assassini vogliono che diventiamo”, ci ha detto la Senatrice.

Il paesaggio cambia, prima l’Italia, poi l’Austria, la Germania e pianti e pianti al passaggio del confine. A fine giornata si poteva percepire un silenzio quasi assordante di morte. 

Fino all’arrivo ad Auschwitz.

Fummo buttati su questa spianata di neve. Era il 6 febbraio del '44

La separazione dall’amatissimo padre. La solitudine assoluta a 13 anni. Il lager e il campo di sterminio. Il genocidio degli Ebrei preparato a tavolino anni prima. Il numero tatuato nel braccio. Rasata.  Vestita a righe. Triplo filo spinato. Come si fa a sopravvivere? 

Dopo 15 giorni non piangemmo più. Scegliemmo la vita. Questa parola VITA è  importantissima. Non va sprecata mai”.

E ancora la vita nel campo, il lavoro nella fabbrica. E l’incontro, quasi tutti i giorni, con un gruppo di giovani in divisa nazista che, guardando le prigioniere scheletrite, ridevano, sputavano loro addosso, dicevano parolacce spaventose.  

E io li guardavo e li odiavo con tutte le mie forze, sognavo di vendicarmi”. 

Solo a sessant’anni, una volta diventata nonna, la scoperta importante e decisiva:

“Non li odiavo più. Io avevo pena per questi ragazzi figli del nazismo, che avevano vissuto e bevuto il latte delle loro madri col nazismo e che erano diventati carnefici loro malgrado perché questo gli era stato insegnato... Picchiatori, odiatori di quelli cosiddetti di razza inferiore... Io mi scoprii da nonna ad essere diversa da quello che ero stata come ragazzina. Ho scoperto che ero stata più fortunata io ad essere vittima di loro...  Quando io mi resi conto che non provavo più odio e sete di vendetta, ma provavo pietà, provavo pena per questi, capii che ero pronta a fare il mio dovere di testimone... Senza mai usare la parola odio e la parola vendetta. Solo così potevo diventare testimone utile a chi mi ascolta”.

Parlando dei viaggi della memoria organizzati dalle scuole nei campi di concentramento ci ha detto che andrebbero fatti con lo spirito giusto, per cercare di partecipare un po', per qualche ora, a quello che è stato. Si dovrebbe avere un po' fame e un po' freddo. 

Che cosa si sceglie di mettere nella valigia per scappare?” ha detto Liliana Segre all’inizio di questo indimenticabile incontro.

Ci siamo interrogate su come rispondere a questa domanda per tutta la durata della conferenza, arrivando alla risposta che non serve una valigia per scappare, ma bastiamo noi.

Elisa Bertipaglia e Nicole Mansilla, Ipc Lanino Vercelli

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