Affermare che per Elisa Caramella i libri siano una passione a tutto tondo non è solo un pittoresco modo di dire ma una vera e propria realtà. Elisa infatti, affiancando la sua attività di scrittrice di racconti e romanzi, con quella di titolare della Libreria dell’Arca, si può dire un’esperta del libro in ogni sua forma. Ai suoi lavori già presenti sugli scaffali delle librerie (tra cui la raccolta di racconti Trasfigurazioni e il romanzo La maschera dagli occhi di vetro) si è da poco aggiunto un nuovo romanzo Giugno 1859 (Undici Edizioni), che ha già entusiasmato i primi lettori.
Elisa, ci puoi anticipare qualcosa su Giugno 1859? Come è nata l’idea di questo romanzo?
Giugno 1859 è la storia di un soldato, un ufficiale di basso rango del Regno di Sardegna, che vede la sua vita stravolta, dopo aver preso parte alla più sanguinosa battaglia della seconda guerra d’indipendenza italiana: quella di San Martino contro l’esercito austriaco. Una battaglia che, insieme a quella combattuta dai francesi a Solferino, segna la fine della campagna militare franco-piemontese del 1859.
L’idea del romanzo storico mi ronza in testa da molto tempo. Nel 2002 ebbi l’occasione di visitare per la prima volta il complesso monumentale di San Martino della Battaglia e me ne innamorai.
Lo spunto per questo romanzo nacque solo due anni fa, proprio durante una rievocazione storica. Il rievocatore è una figura che ricorda l’archeologo sperimentale. Oltre a studiare a fondo un determinato periodo storico, il rievocatore si occupa di ricostruire, il più fedelmente possibile, le vicende accadute, indossando abiti confezionati sui modelli dell’epoca, ricreando le attività lavorative oppure, se si tratta di storia militare (come nel mio caso), prendendo parte attiva in simulazioni di battaglie.
Oltre agli eventi sul campo, partecipo a una sorta di gioco di ruolo online, la pagina Facebook “Le mirabolanti vicende di casa Boisson”, in cui interpreto il mio personaggio rievocativo di ufficiale di fanteria di linea piemontese. Le giocate mi hanno fornito l’ispirazione per la creazione di una storia compiuta.
Ci sono aneddoti sulla vita da rievocatore e sui momenti di “storia vissuta” che sono diventati parte del romanzo?
La vicenda chiave si può dire che sia un evento realmente accaduto. Durante la manifestazione di due anni fa, a cui ho accennato sopra, feci il ferito in battaglia. Avevamo un truccatore cinematografico professionista: per lo scontro del primo giorno mi applicò alla gamba una protesi in silicone con un proiettile da estrarre. Il giorno dopo dovevo avere la ferita infettata. Nella mia ingenuità, credetti che l’ufficiale medico avrebbe mostrato come curare un’infezione. Le sue parole furono: «Non c’è più nulla da fare, dobbiamo tagliare».
… logicamente, è tutto finto, simulato, ma per un’infinitesima frazione di secondo ci credetti. Poi la razionalità mi suggerì: “E adesso come lo mostriamo al pubblico?”. Mi alzai dal tavolo urlando e terrorizzando gli spettatori, costrinsi gli assistenti del dottore a ributtarmi giù con la forza. C’erano dei bambini che guardavano: aspettarono la fine delle spiegazioni per assicurarsi che io stessi bene.
Diamo uno sguardo ai tuoi libri precedenti. Sono di genere completamente differente. Ci racconti di cosa parlano?
Il mio primo romanzo, La maschera dagli occhi di vetro, è quello che definisco un giallo fanta-storico. L’ambientazione è un’idealizzazione fuori dal tempo del territorio europeo, che ricorda a tratti l’Ottocento e a tratti il medioevo. La vicenda si snoda intorno a uno strano convento di clausura in cui le monache indossano maschere che coprono il volto e impediscono loro di vedere il mondo. Il protagonista, un giovane politico, scoprirà che dietro all’apparente innocenza del monastero si nascondono intrighi di portata internazionale.
Trasfigurazioni è una trilogia di racconti horror psicologico in cui il filo conduttore è la paura della paura stessa, l’incapacità di comprendere cosa è reale e cosa soltanto immaginato. Tre storie, ognuna col proprio protagonista. Tre momenti e tre fondali diversi, un solo sentimento che li unisce.
Nonostante le differenze nel costruire storie così lontane tra loro, ci sono costanti nella tua scrittura, una cifra personale a cui resti fedele? Oppure ti lasci di volta in volta trasportare dalla storia che stai raccontando?
Una linea guida è sicuramente l’analisi approfondita dei personaggi, elemento che mi arriva dal teatro. E dalla lettura di Stephen King. Sembra strano passare da un giallo fanta-storico a una trilogia di racconti horror psicologico a un romanzo storico. In realtà, la maggior parte delle storie, di qualsiasi genere, parlano di persone a cui accadono cose al di fuori del proprio concetto di ordinario. La storia finisce sempre per portarti via con sé. Ciò che cambia è cosa vuoi raccontare di quella storia. Il mio focus è sulle persone e sulle loro scelte.
Autrice e libraia indipendente sono due facce della stessa medaglia, che però richiedono competenze ben distinte. Come coniughi questi tuoi due ruoli?
La funzione del libro è la trasmissione, di informazioni o di emozioni. Consiglierei volentieri i miei libri a tutti, ma so di non potere. Così come per una storia, bisogna imparare a riconoscere il carattere delle persone. E bisogna anche comprendere l’oggetto libro. Perché un libro non è un semplice contenitore, come il sacchetto della spesa. Il libro ha un ciclo di vita che comincia dalla testa dell’autore e finisce… be’, in realtà non finisce mai, ma, se vogliamo dargli una conclusione, è alla chiusura dopo essere stato letto. Per coniugare l’autore al libraio bisogna seguire il ciclo di vita di un libro dall’inizio alla fine.