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Notizie dall'Italia | 16 aprile 2019, 11:29

Quando la banca sbaglia: ecco come difendersi legalmente

STRUMENTI DI LEGGE PER TUTELARE RISPARMI E CONTI CORRENTI: L’ESPERIENZA DI SERAFINO DI LORETO

Quando la banca sbaglia: ecco come difendersi legalmente

Il mercato del debito, in Italia, ha assunto proporzioni rilevanti. Di certo, la crisi in atto favorisce tale crescita.
Al suo interno, un posto di tutto rispetto spetta all’anatocismo e all’usura bancaria, ovvero tutte le indebite competenze e altrettante somme che banche, istituti di credito e finanziarie in genere applicano in maniera indiretta e illecita sui conti correnti degli ignari italiani, prelevandole a loro insaputa.
Un tempo appannaggio esclusivo dell’associazionismo di stampo spontaneo e consumeristico, oggi tal fenomeno, data anche l’amplissima diffusione che esso tuttora conosce (sono note a tutti da tempo le tristi vicende delle banche italiane), è diventato materia d’interesse economico e di studio da parte di molteplici operatori del settore, strutturati però in forma di veri e propri soggetti di mercato: che, tradotto, vuol dire imprese che producono occupazione e gettito fiscale.
Far causa alle banche è possibile, eccome. Anche perché non si capisce per qual motivo, se a sbagliare è un cittadino, esso sia giustamente tenuto a pagare di tasca propria e a risarcire.
Se, invece, a non rispettare la legge e i patti stipulati sono le banche, il più delle volte la fanno franca: e, se falliscono, ci pensano i soldi degli italiani a mantenerle in vita.
Giusto che la banca persegua le vie legali se un cittadino non paga il mutuo o vada fuori fido o attui comportamenti scorretti e arbitrari: ma altrettanto lo è il rivalersi contro la banca, se quest’ultima incassa per anni dal correntista inconsapevole cifre non dovute.
Far causa alle banche è una legittima possibilità - cui ricorrere soltanto qualora siano oggettivamente accertati i presupposti per mettere in discussione la liceità dell’operato del proprio istituto di credito - per tutti coloro che lavorano onestamente, che pagano puntualmente e senza batter ciglio commissioni contrattuali per la tenuta e la normale routine della loro operatività.
Ma far causa alle banche significa avere il coraggio di guardare dritto negli occhi i poteri forti e le loro frequenti, sporche e aberranti collusioni.
Le stesse che determinano, anche in caso di mala gestio, lo squallido e nauseabondo giro di poltrone per cui, attraverso il ‘sofisticato’ meccanismo delle promozioni, un qualsiasi incapace autore di danni ingenti all’economia di un istituto di credito (clienti inclusi, ahimé) viene assegnato ad altra insegna – e, per lo più, anche con mansione superiore -, ove magari ricoprirà anche un incarico al vertice ben più importante, continuando indisturbato a compiere sfaceli e sfracelli.
Alla faccia di chi i soldi li risparmia da una vita, e altrettanto duramente li suda e accantona onorando tasse, esigenze personali, impegni e scadenze quotidiane e così via.
Ma far causa alle banche vuol dire anche muovere milioni di euro, spostandoli semplicemente dal piatto più ricco a quello più povero della bilancia degli italiani.
Si capisce dunque, alla luce di quanto sinora esposto, come l’enorme posta in gioco (e tutto ciò che attorno a essa gravita) divenga sostanza più che appetibile per tutta una serie di realtà che vorrebbero spartirsi la torta.
La partita si gioca, spesso, anche sul piano sottile e altrettanto delicato di un’informazione strumentale che vede in primo piano, quali attori dominanti della scena, testate giornalistiche e portali di varia natura tutti professantisi profeti ed esperti in materia economica: che fioriscono qua e là sul web come funghi, animati e fondati per lo più da professionisti o presunti tali del settore che, pretendendo di avere ciascuno il dogma in merito, si sfidano a colpi di pareri, alle volte anche in veste di contributors di organi di informazione.
Ma c’è di più. Oggi, in diversi ambiti che vanno dal cibo, alla moda, alle tendenze, ma anche al denaro e dintorni, alcuni portali sono diventati quasi degli oracoli di Delfi, senza il cui parere o indicazione di direzione diventa impossibile fare anche una passeggiata al gabinetto senza rischiare invece di finire in cucina. E gli italiani-pecore, che fanno? Abboccano, ma certo!
Non si capisce perché, in questo Paese, chi fa informazione deve giustamente rispondere a tutta una serie di doverosi e seri requisiti che vanno dall’iscrizione all’Ordine dei Giornalisti fino alla registrazione di una testata propriamente detta in Tribunale.
Mentre, i tanti che espongono pareri e pensieri liberamente semplicemente acquistando un dominio in Internet in realtà possono pensare di dire ciò che vogliono e credono giusto senza controllo alcuno, come invece spesso avviene nel primo caso.
La web reputation, oggi, ha assunto un ruolo superiore a quello della fedina penale: per il solo fatto che è pubblica e liberamente accessibile attraverso il più comune dei motori di ricerca, si comprende bene come alcune forme di accanimento mediatico servano in realtà più per alterare le cosiddette leggi di mercato, inquinare il buon nome di questo o quello, attirare e spostare strategicamente l’attenzione di potenziali clienti, che non a far del bene in buona fede a un lettore attento in cerca di contenuti utili con i quali dare compiutamente risposta a un’esigenza contingente: quale quella, legittima e sacrosanta, di chiedere alla propria banca se tutti i soldi che ha incassato sono leciti, giusti e dovuti. Insomma, spesso si confonde lo schermo di un pc per un’aula di giustizia.
Per prima in Italia, dal 2010 a oggi, la ‘SDL Centrostudi SPA’ fondata da Serafino Di Loreto ha avuto il gravoso e ardito compito di fare da apripista alla tutela degli interessi economici di famiglie, cittadini, consumatori, piccoli e grandi imprenditori che, sino a quel momento, hanno sempre giocato una partita impari nel dialogo con banche, Fisco iniquo e istituti di credito: partita che oggi, grazie anche alla case history dell’azienda bresciana (spesso, attaccata potenzialmente in misura strumentale da parte di competitors e organi d’informazione presumibilmente non scevri da interessi di parte), ha permesso per prima, fatto oggettivo e incontestabile, storicamente di capire a dovere l’importanza dell’analisi contabile e peritale dei dati contenuti negli estratti conto.
Proprio gli stessi dati, e la ripetizione è voluta, grazie ai quali gli operatori del mondo del credito hanno compiuto il più grave dei prelievi: quello, spesso illecito, e mai autorizzato da alcun cliente.

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