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Arte e Cultura | 19 settembre 2017, 16:28

Vi racconto Parigi, attraverso le storie di altri autori

INTERVISTA A FRANCO RICCIARDIELLO: LA LETTERATURA, LA VITA, LA SCRITTURA, IL MONDO DI OGGI

Vi racconto Parigi, attraverso le storie di altri autori

Da qualche settimana, nel settore ‘Viaggi e turismo’ o talvolta tra gli scaffali di storia, nelle librerie italiane, si può ammirare Storie di Parigi, il nuovo testo del vercellese Franco Ricciardiello, che ha momentaneamente abbandonato la narrativa per dedicarsi a una saggistica sui generis, molto interessante per i modi in cui viene raccontata, spiegata, analizzata una grande città, come l’autore stesso ci svela in quest’intervista, allargata anche ai temi della sua vita e della sua opera letteraria.

Dopo tanta fiction, ecco Storie di Parigi. Come mai?
I miei romanzi e racconti sono pieni di puntuali riferimenti geografici; mi piace che chi legge abbia la possibilità di immaginare dove si muovono i personaggi, e la precisione del dettaglio topografico è l’altra faccia dell’accuratezza storica. La mia scrittura è sempre stata caratterizzato da luoghi e tempi lontani. Se poi la domanda è “come mai Parigi?” allora la risposta non può che essere: perché qui è nato il mondo moderno. Il nostro immaginario è oggi colonizzato dall’America, ma solo perché l’industria dei sogni si è trasferita dall’altra parte dell’oceano subito prima dell’ultima guerra mondiale: ma tendiamo a dimenticare che l’Italia è nata da una costola della Francia.
Ci parli brevemente di questo nuovo libro?
Invece di scrivere una storia ambientata a Parigi, ho scelto di fare una raccolta di storie di altri autori: certo, quando racconto la vita di un musicista, l’ambientazione di un romanzo o la trama di un film, intervengo nella narrazione con il mio stile e le mie parole, tentando di mettere in luce la vasta rete di collegamenti tra cinema, musica e letteratura che fa parte delle mitologie di una grande città.
In definitiva, cos’è per te Parigi?
Parigi è una città immensa e bellissima, in grado di regalare emozioni profonde, un organismo vivente che cerca di modificare il mondo a propria immagine e somiglianza, ma soprattutto è l’immagine mentale che me ne sono fatto vedendola nei film, leggendola nei libri, ascoltandola nelle canzoni.
Ora, così, a bruciapelo, chi è Franco Ricciardiello?
È uno convinto che le parole scritte, le immagini filmate e la musica ascoltata possano rendere più bello il mondo.
Ci racconti ora il tuo primo ricordo letterario?
Per anni mia madre ha gestito un’edicola, quasi fino alla mia maggiore età. Ho imparato a leggere sulle edizioni di romanzi per ragazzi. Il primo libro che ho letto interamente, credo all’età di sei anni, era un’avventura di Luigi Motta ambientata in Argentina; il secondo, Il giro del mondo in ottanta giorni.
Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare uno scrittore?
Prima di tutto, il fatto che da ragazzo ero decisamente timido, e faticavo a comunicare; la scrittura invece ti permette di pensare e ripensare ciò che vuoi dire. Ciò che mi ha spinto a scrivere in maniera semiprofessionale è stata invece la fantascienza. Questa voglia di impegnarsi in prima persona è tipica degli appassionati di letteratura di genere.
Ti consideri narratore puro o autore di noir o altro ancora?
Alcuni anni fa avevo quasi totalmente smesso di leggere fantascienza, dedicandomi al thriller e al giallo; mi venne naturale cambiare genere al momento di scrivere. Adesso sto recuperando la passione perché l’editoria italiana di fantascienza è molto cambiata. Diciamo che mi piacerebbe alternare i generi letterari, a seconda dell’ossessione del momento, un’ossessione che qualcuno chiama ispirazione.
Ma cos’è per te la scrittura?
Un tentativo di capire la vita, il mondo, partendo da storie che nel Grande Disegno potrebbero apparire insignificanti; ma da qualche parte bisogna pure cominciare.
Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ al momento di scrivere?
C’è il momento dell’entusiasmo, quando non riesci a dormire la notte perché i personaggi che hai in testa incontrano una storia che è perfetta; avresti voglia di alzarti dal letto e metterti a scrivere, per timore di dimenticarla come i sogni alla prima luce dell’alba. C’è il momento della fatica, quando le parole gocciolano fuori una per una, e ti rendi conto di mille problemi pratici che i tuoi personaggi oppongono alla tua idea; c’è poi il momento perfetto della revisione, quando ti rendi conto che la storia può funzionare, e che non potevi scriverla in modo diverso da come l’hai scritta. Ecco, ogni volta che riesci a raggiungere quest’ultimo stadio, capisci perché hai deciso di metterti a scrivere.
Come scrivi: quaderno, bloc-notes, computer, tablet o altro?
Computer desktop, programma di videoscrittura, e il browser continuamente acceso su Internet per verificare immediatamente dettagli, riferimenti, immagini, cartine, nomi etc. Non credo riuscirei più a scrivere senza internet.
Hai luoghi i momenti della giornata che privilegi per scrivere?
No. L’unica precauzione è che se scrivo fiction devo essere a casa da solo perché la minima distrazione mi smonta le immagini e le frasi che ho in testa. Se invece scrivo altro, una recensione o un articolo o un saggio, posso anche lasciarmi distrarre...
Tra i libri che hai scritto ce n’è uno a cui sei particolarmente affezionato?
Non rinnego nulla di ciò che ho scritto. Di solito quello cui tengo di più, come quasi tutti gli scrittori, è l’ultimo pubblicato. Ecco, diciamo forse il romanzo Disertori, perché è l’unico non di genere che abbia pubblicato finora.
E c’è per te un libro-culto tra quelli che hai letto?
Innumerevoli. Un semplice lista sarebbe fuorviante. Dico solo i primi che mi vengono in mente: Il pendolo di Foucault, I miserabili, Cent’anni di solitudine, L’arcobaleno della gravità di Pynchon, Underworld di DeLillo.
Dicci ancora tre titoli che porteresti sull’isola deserta.
Le Mille e una notte, Finzioni di Borges, Tutti i racconti di Sylvia Plath.
Quali sono stati i tuoi maestri nella letteratura?
Quando ho iniziato a scrivere, da ragazzino, ammiravo la chiarezza e la sostanza di Oriana Fallaci. Poi da ragazzo avrei ambito a scrivere come George Orwell, ma quando ho scoperto Gabriel García Márquez ho avuto una fulminazione. Adesso leggo soprattutto letteratura postmoderna.
E più in generale, maestri nella cultura, nella vita?
J.G. Ballard per la fantascienza, Johann Sebastian Bach per la musica, Lucio Battisti per la canzone, Lev Trockij per la politica, Jean-Luc Godard per il cinema, Thomas Pynchon per il postmoderno.
Qual è stato il momento più bello della tua carriera di scrittore?
Quando dalla casa editrice Mondadori mi telefonarono per avvertirmi che avevo vinto il premio Urania.
Come vedi la situazione della letteratura in Italia?
Né meglio né peggio di venti o trenta anni fa. Al contrario della musica italiana, che ha subito una regressione sconfortante, e del cinema, dove non abbiamo più molti nomi di richiamo internazionale, si scrivono ancora cose molto belle, e c’è tanta gente che vorrebbe scrivere, come si vede dalla quantità dell’offerta editoriale.
E più in generale cosa pensi della cultura oggi nel nostro paese?
L’offerta è così vasta che è possibile trovare davvero tutto ciò che si desidera, e con molta più facilità di un tempo grazie a Internet e all’editoria elettronica: prodotti di una bellezza sofisticata e piena di senso. Se vuoi una risposta invece sulla produzione culturale più diffusa, per esempio l’immensa offerta televisiva, ti rispondo che quello è il campo dell’industria di consumo e non della cultura. Rimane il fatto che leggere un libro commerciale è sempre meglio che guardare un discreto programma tv, perché la parola scritta costringe il cervello al pensiero.
Cosa stai progettando per l’immediato futuro?
Ho appena consegnato all’editore Storie di Venezia, confezionato con la stessa forma di Storie di Parigi; mi è costato oltre un anno di lavoro.

Guido Michelone

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