Era il 1987, stavo iniziando a imparare il mestiere di giornalista collaborando per La Sesia. Mi pagavano a riga. Ogni riga faceva qualche lira (ricordo che un collaboratore per guadagnare di più, scriveva spesso nientepopodimenoche).
Mi chiesero la disponibilità per una domenica mattina: a Livorno Ferraris, centro lontano da Vercelli una ventina di chilometri, c’era l’intitolazione di una piazza al tenente colonnello Enrico Possis, che nel dopoguerra, una volta tornato dagli Stati Uniti, fu sindaco di Livorno Farraris per 15 anni.
Andai, arrivando presto (un bravo giornalista arriva sempre prima), scattai qualche foto, presi appunti (ma un bravo giornalista poi difficilmente ne ha bisogno, ché il pezzo lo scrive mentre vede), scrissi il pezzo.
Nel bloc notes degli appunti, però, stavolta non mi limitati solo a scrivere. Una frase, addirittura, la sottolineai.
Durante la cerimonia di intitolazione furono lette alcune pagine del diario del temente colonnello Possis. Pensieri, più che altro, cose veloci.
"Fa’ che ogni tuo giorno conti".
Mi piacque, fu amore a prima vista. Mentre prendevo appunti mi chiedevo: come sono i miei giorni?
Fa’ che ogni tuo giorno conti.
Da allora ho preso l’abitudine a pensarci, appunto, ogni giorno a questa frase.
Fa’ che ogni tuo giorno conti.
E’ il segreto – credo – per non vivere da moribondi.